Bimba morta di stenti, indagate due psicologhe del carcere e l’avvocato di Alessia Pifferi

di Fabio Maresca

Il pm: atti falsi per far avere perizia alla difesa

Il pm di Milano Francesco De Tommasi ha perquisito e indagato per falso ideologico l’avvocatessa Alessia Pontenani, difensore di Alessia Pifferi, e le due psicologhe che nel carcere di San Vittore hanno sottoposto la donna imputata per l’omicidio della figlia Diana di soli 18 mesi, lasciata morire di stenti, a una relazione che avrebbe attestato, in modo falso, le condizioni dell’indagata.

Nel capo di imputazione del decreto di perquisizione si evidenzia come le tre professioniste, «in concorso morale e materiale tra loro, mediante più condotte esecutive del medesimo disegno criminoso», hanno redatto – in particolare le due psicologhe – il diario clinico in cui «attestavano falsamente», in una relazione, che Alessia Pifferi «aveva un quoziente intellettivo pari a 40 e quindi un deficit grave» con «scarsa comprensione delle relazioni di causa ed effetto e delle consequenze delle proprie azioni» utilizzando il test diagnostico Wais non idoneo per la detenuta.

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Sotto esame i colloqui

Il rappresentante della pubblica accusa evidenzia, inoltre, come i colloqui in carcere non solo non sarebbero dovuti esserci – Alessia Pifferi non avrebbe necessitato di un ‘monitoraggio’ per il pm, in quanto «non è un soggetto a rischio di atti anticonservativi e si presentava lucida, orientata nel tempo e nello spazio, nel pieno possesso delle proprie facoltà mentali e determinata» – ma soprattutto non hanno avuto come finalità l’assistenza psicologica quanto «discutere del procedimento penale a carico della Pifferi e qualificabile come vera e propria attività di consulenza difensiva, non rientrante nelle competenze delle due psicologhe».

Chiaro per il pm De Tommasi l’obiettivo: «creare, mediante false attestazioni circa lo stato mentale della detenuta e l’andamento e i contenuti dei colloqui, le condizioni per tentare di giustificare la somministrazione del test psicodiagnostico» e fornire così all’imputata, «falsificando» la diagnosi, una base documentale che le permettesse di richiedere e ottenere l’«agognata perizia psichiatrica».

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Un ‘piano’ andato avanti fino a pochi giorni fa. Lo scorso 2 gennaio una delle due psicologhe, si legge nel decreto, scriveva di aver fatto un colloquio di monitoraggio e di sostegno psicologico con la detenuta, ma «si era trattato di un vero e proprio ‘interrogatorio’ finalizzato ad acquisire informazioni sui test psicodiagnostici somministrati alla Pifferi», nell’ambito della perizia in corso, «sui contenuti dei predetti test e sulla tipologia degli stessi», ma anche di domande «attinenti alle contestazioni sollevate dal pm» nel processo in corso davanti alla corte d’assise.

Il legale di una indagata: sospetto che accusa sia su pareri espressi

«Sorge il fondato sospetto che la perquisizione nasconda finalità estranee alla condotta commessa dalla mia assistita e voglia indagare sulla sua attività lavorativa complessiva, accusandola più per il merito dei pareri espressi che per il metodo con il quale si è pervenuti a tali pareri». Lo afferma l’avvocato Mirko Mazzali, legale che tutela gli interessi di una delle due psicologhei. Per il legale si tratta di un provvedimento «finalizzato alla ricerca di documenti in possesso dell’istituto penitenziario e quindi facilmente rintracciabili, che pone sotto sequestro cellulari e computer per cercare fantomatici rapporti con una detenuta, nonché documentazione concernente altre detenute non oggetto dei capi di imputazione».

L’Ordine degli avvocati e la Camera penale di Milano: collega indagata sembra invito a fare passo indietro

«È grave (o meglio inaccettabile)» che la notizia che l’avvocatessa di Alessia Pifferi, accusata dell’omicidio della figlia di soli 18 mesi, sia stata indagata per falso ideologico e favoreggiamento sia stata divulgata dalla stampa, «contro il principio di presunzione di innocenza, soprattutto in termini di lesione reputazionale indelebile». È quanto sostiene in una nota l’Ordine degli avvocati di Milano e la Camera penale di Milano che sottolinea come la «peculiarità» di questo caso è nel fatto che il pm Francesco De Tommasi oppostosi nel processo all’ammissione di una perizia sulla capacità dell’imputata, richiesta anche sulla base del diario clinico – ha ritenuto di iscrivere nel registro delle notizie di reato anche il difensore a processo in corso.

«Non si comprende l’urgenza di compiere atti di indagine, posto che i documenti ricercati sono custoditi in un istituto penitenziario e, dunque, ben difficilmente oggetto di dispersione. Non si comprende tale urgenza neppure rispetto a un atto istruttorio il cui risultato è tuttora ignoto, e il cui perito incaricato si troverà a dover fare valutazioni nel merito con lo spettro di un’indagine, che potrà sempre essere estesa. Non si comprende la ragione del mancato rispetto delle scansioni fisiologiche del processo, che dovrebbero semmai prevedere una richiesta di trasmissione atti fatta dal pm a conclusione del processo stesso» si aggiunge nel comunicato.

«Non si comprende, in verità, la necessità di ipotizzare un reato di falso in capo al difensore che ha utilizzato un documento ufficiale del carcere per formulare le proprie richieste di prova: ma non intendiamo entrare nel merito. Non possiamo non stigmatizzare queste modalità di azione del pubblico ministero. È difficile, mettendosi nei panni della collega, non avere la sensazione di un implicito invito a fare un passo indietro. E non vogliamo consentire che – proprio nella giornata internazionale per l’avvocato minacciato – una situazione del genere passi inosservata. La funzione difensiva non deve essere mai in pericolo».

La sorella di Alessia Pifferi: spero sia fatta chiarezza

«Sentire queste cose onestamente fa venire i capelli in piedi, pensare che le persone di cui ti fidi facciano un lavoro così non lo so spero sia fatta chiarezza». Così Viviana, sorella di Alessia Pifferi. A La Vita in Diretta, il programma di Rai1 condotto da Alberto Matano, Viviana racconta che la sorella Alessia «è una persona completamente cambiata dalla persona che è stata arrestata quella sera, anche il modo di parlare che aveva in casa nostra era completamente diverso da quello che c’è stato in udienza… Lei non è la persona così remissiva».

«Qualcosa è cambiato sicuramente, lei non avrebbe mai risposto in maniera così remissiva a nessuno – ribadisce Viviana – quello non è il suo carattere, il carattere di mia sorella è quello che è venuto fuori la sera dell’interrogatorio, quello che è venuto fuori nella lettera che mi ha mandato dal carcere piena di accuse e parole con un tono molto autoritario e non remissivo. Quella è lei. Spero sia fatta chiarezza e se c’è qualcosa che non va che venga fuori».

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