Salvini rincara la dose: «Se è una trappola non lo firmeremo»
«Io non posso accettare un Patto di stabilità che nessun governo potrebbe rispettare». Non sono bastati né il Consiglio europeo né, soprattutto, il lungo incontro notturno con Emmanuel Macron e Olaf Scholz a convincere Roma sulla nuova governance economica. Mercoledì prossimo un nuovo Ecofin straordinario è stato convocato per mettere la parola fine alla trattativa. La bozza della riforma è già pubblicata sul sito della presidenza spagnola, segnale chiaro che l’Europa vuole stringere. Ma per l’Italia il lavoro non è finito.
«Ci sono tre punti che possono cambiare l’equilibrio», ha spiegato la premier Giorgia Meloni al termine dell’ultimo summit Ue del 2023. Poco prima, da Atreju, Giancarlo Giorgetti era stato ben più tranchant: «Le possibilità di chiudere sul Patto sono scarse», almeno la prossima settimana.
Nel governo ad una Lega che fa da poliziotto cattivo si affianca una Meloni più possibilista. Per la premier «l’intesa va cercata» ed è raggiungibile, ma «le posizioni sono ancora distanti». «Se il Patto è una trappola non lo firmeremo», è stato invece l’avvertimento lanciato da Matteo Salvini. All’Europa, alla Germania e al fronte dei frugali. Ma, chissà, anche agli stessi alleati di governo.
Di certo, a non piacere è stata anche l’idea di convocare la riunione decisiva sul Patto in videocall. «Non si può chiudere così un accordo che condiziona l’Italia per i prossimi anni», ha osservato il titolare del Mef. «Se non ci si vede di persona diventa più difficile», gli ha fatto eco la premier da Bruxelles, dove ha rivendicato «una convergenza» con Parigi ma, allo stesso tempo, ha ribadito la necessità di tener conto degli investimenti nei percorsi di rientro del debito e del deficit. Le parole dei due esponenti di governo hanno colto di sorpresa diverse cancellerie europee, a cominciare da quelle del Nord.
Il successo sul bilancio europeo
Sul Patto la strada di Meloni resta molto stretta anche perché, su un altro fronte, quello del bilancio europeo, l’Italia ha ottenuto abbastanza. La proposta di mediazione arrivata nella notte non è stata vidimata solo per l’opposizione dell’Ungheria. Questo vuol dire che gli altri 26 Paesi membri, frugali inclusi, hanno approvato uno schema che prevede 21 miliardi di risorse fresche (e non 17 solo sull’Ucraina, come chiesto dal fronte del Nord) e 9,6 tra fondi nuovi e finanziamenti riallocati sul capitolo migrazione. Anche sul fronte della competitività industriale – la cosiddetta piattaforma Step – Roma ha incassato uno dei suoi desiderata: il cofinanziamento al 100% da parte dell’Ue di alcuni progetti per l’innovazione delle imprese.
Si tratta, c’è da dire, di una bozza che sarà oggetto principale del vertice straordinario previsto per la fine di gennaio o i primissimi giorni di febbraio. Ma una mano tesa sul dossier, da parte del fronte rigorista guidato da Berlino, in fondo è arrivata. Il punto è che, di fronte ad un Patto di stabilità che Roma reputa ancora insoddisfacente, il governo, spiegano fonti vicine al dossier, quasi preferirebbe un rinvio. Se Giorgetti il 20 dicembre si opporrà, l’accordo slitterà automaticamente a gennaio.
Calcolando che l’ultima plenaria dell’Eurocamera disponibile per la ratifica finale della riforma è ad aprile, i tempi per concludere tutti i passaggi per l’entrata in vigore del nuovo Patto sarebbero a dir poco stretti. Resta da capire se, a quel punto, nella preparazione della Nadef ad aprile i Paesi membri debbano attenersi alle vecchio regole (tesi sposata dai rigoristi) o alle linee guida della Commissione, tarate sui principi della nuova governance economica. Non è un fattore marginale anche perché ad aprile la campagna per le Europee starà per entrare nel vivo.
La ratifica del Mes? Non c’entra
Nella trattativa comunque, ha assicurato Meloni, la ratifica del Mes non ha alcun ruolo. «Non c’è alcun ricatto, è un link che vedo solo nel dibattito italiano», ha sottolineato la premier. Di certo però chiudere il 2023 senza il sì al Mes e con un no al nuovo Patto in videocall non spargerebbe sorrisi a Bruxelles. E neanche a Madrid, visto che la presidenza dell’Ecofin è nelle mani di Nadia Calvino, fedelissima di Pedro Sanchez. Quella stessa Calvino contro la cui nomina a capo della Banca europea degli investimenti l’Italia si è opposta con vigore fino all’ultimo secondo disponibile.
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