Muro del fronte del Nord sui migranti ma c’è il pressing dei Paesi Med
Obiettivo numero uno: abbattere il muro dei frugali. Nel dietro le quinte della storica decisione dell’Ue di aprire i negoziati per l’adesione di Kiev c’è il nodo più vecchio del mondo, quello dei soldi.
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Giorgia Meloni è approdata a Bruxelles con un’idea in testa: un patto di stabilità che di certo non premia i Paesi ad alto debito non può coesistere con una revisione del bilancio comune che non tenga conto di migrazione e competitività. Di questo, sebbene manchino conferme ufficiali, la premier ha parlato nel lungo incontro notturno con Emmanuel Macron e Olaf Scholz. E su questo Meloni è pronta ad andare allo scontro totale con il fronte dei frugali.
La discussione sulla revisione del bilancio 2021-27, al vertice Ue, si è rivelata persino più delicata di quella dell’allargamento. Per un duplice motivo: sui fondi all’Ucraina pesa, manco a dirlo, il veto di Budapest. Ma è un veto che, dal punto di vista procedurale, può essere aggirato. La seconda ragione è che l’Ue sui fondi comuni rischia il tutto contro tutti. La proposta di partenza della presidente di Ursula von der Leyen – 50 miliardi per Kiev, 12,5 sulla migrazione, 10 per le imprese e un totale di 66 miliardi di soldi freschi – è stata bocciata da tempo.
L’ultima mediazione, avanzata da Charles Michel, prevede 22,5 miliardi di risorse nuove dei quali 17 in sovvenzioni a Kiev, ai quali aggiungere 33 miliardi in prestiti. I fondi totali da mettere sulla migrazione, nello schema del presidente del Consiglio Ue, ammontano a 8,6 miliardi, dei quali circa 5 di nuova immissione.
Michel, di fronte al pressing dei Paesi Med, ha ipotizzato sul capitolo migranti anche un miliardo in più, da raccogliere con la riallocazione delle risorse Ue già esistenti. Tutto inutile di fronte al muro dei frugali. La formula messa sul tavolo dei 27 dal fronte del Nord parla chiaro: «Seventeen plus zero». Dove diciassette sono i miliardi freschi per l’Ucraina e lo zero è invece quello dei finanziamenti ulteriori per tutte le altre poste di bilancio.
Il summit ristretto
A tarda sera l’atmosfera dell’Europa Building si è fatta di nuovo plumbea. In una sala adiacente a quella del summit, Italia, Francia, Germania, Olanda, Svezia e Finlandia si sono sedute al tavolo per una riunione ristretta forse decisiva, mediata da Ursula von der Leyen e lo stesso Michel.
Meloni può contare sulla sponda della Francia («ottima discussione», ha detto Macron dell’incontro con la premier) e della presidente della Commissione sui migranti e su una certa elasticità che, secondo alcune fonti europee, avrebbe garantito Scholz in cambio di un accordo rapido, già il 20 dicembre, sul Patto di stabilità.
La flessibilità
Per il governo, ridurre la portata della revisione di bilancio proposta da von der Leyen non è svantaggioso. Perché se fosse passato lo schema da 66 miliardi l’Italia, da qui al 2027, avrebbe dovuto versare per Bruxelles circa due miliardi l’anno. Da un punto vista politico, tuttavia, premiare solo l’Ucraina e non la migrazione o l’innovazione industriale – la cosiddetta piattaforma Step – per Roma sarebbe una sconfitta. La parola chiave, per il governo, diventa allora quella della flessibilità.
Per esempio dell’uso di una percentuale dei fondi di coesione (il tetto è del 20%) per rafforzare la competitività dell’industria, come previsto dalla piattaforma Step. Un’altra strada, per Roma, sarebbe aumentare l’uso delle cosiddette risorse proprie dell’Ue, provenienti ad esempio dallo scambio di quote di emissioni (Ets) o dalla Carbon tax.
Flessibilità, nella strategia di Meloni, è anche la parola chiave per il Patto di stabilità, con lo scorporo degli interessi sul debito nel 2025, 2026 e 2027. E con uno spazio fiscale per gli investimenti del Pnrr che tuttavia nell’ultima bozza della riforma è già sparito. La strada, per Meloni, è strettissima. E forse anche per questo, parlando al Senato mercoledì, la premier è arrivata ad evocare il veto sul Patto.
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