Telefonini nel carcere di Nuoro: condannati il boss Vincenzo Mele, la sorella e un poliziotto

di redazione

Condanne anche per altri 6 detenuti

Si è concluso con la condanna di tutti gli imputati il processo a Nuoro con rito abbrevviato per corruzione e introduzione di 21 telefonini nel carcere di Badu ‘e Carros, all’epoca dell’evasione del boss della Sacra Corona Unita, Marco Raduano, nel febbraio scorso. Il gup Mauro Pusceddu ha inflitto 6 anni e due mesi a Salvatore Deledda e Carmela Mele, rispettivamente agente del penitenziario nuorese con la qualifica di assistente capo e sorella del camorrista Vincenzo Mele, anche lui imputato e condannato a 10 anni e 4 mesi. Pene che vanno dagli 8 mesi ai 3 anni sono state invece comminate a 6 detenuti del carcere accusati di ricettazione. Un altro recluso ha patteggiato la pena.

Il pm aveva chiesto pene meno severe di quelle inflitte oggi dal giudice per i tre imputati principali: 5 anni e 4 mesi per Salvatore Deledda e Carmela Mele e 9 anni e 4 mesi per Vincenzo Mele. I difensori Stefano Stocchino e Roberto Corrias per Deledda e Gandolfo Geraci per Carmela e Vincenzo Mele, avevano sollecitato il riconoscimento delle attenuanti generiche in virtù della loro confessione ma il giudice ha ritenuto di non concederle.

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L’inchiesta dopo la fuga di Rapuano

L’inchiesta è partita nell’estate del 2022 a seguito della segnalazione di un collega dell’agente sotto processo ed è culminata con l’arresto di Salvatore Deledda e Carmela Mele qualche mese dopo l’evasione di Raduano. In quei mesi tra i detenuti dell’alta sicurezza giravano 21 telefonini, oltre a schede sim, cavetti e caricabatterie. Il materiale, secondo la Procura, arrivava all’interno di pacchi sigillati spediti da Napoli da Carmela Mele (appartenente con i fratelli a una famiglia di spicco della criminalità partenopea), nel periodo che va dal luglio del 2022 sino al febbraio 2023.

A riceverli e consegnarli ai detenuti, in particolare a Vincenzo Mele che era in contatto con la sorella, sarebbe stato l’assitente capo in cambio di 200 euro per ogni cellulare. Gli investigatori hanno tracciato due transazioni elettroniche dal conto di Camela Mele a quello dell’agente: 1.200 euro in un caso, 250 euro in un altro.

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