Fuori gioco anche patriarcato e colonialismo. Altrimenti necessiterebbe una riflessione sul centrosinistra: in Italia ha governato per 65 anni su 76
«L’assassinio di Giulia Cechettin (la giovane uccisa alla vigilia della laurea, dall’ex fidanzato con il quale aveva deciso di troncare il rapporto d’amore, ma non quello di amicizia) è figlio del patriarcato».
Hanno detto similfinti progressisti e femministe. Tra cui, comprensibilmente per il dramma che stava vivendo insieme al padre, anche la sorella della vittima. Che (dopo essersela presa con Salvini, che, per rispetto della Costituzione, seconda la quale, nessuno – anche se colto in fragranza di reato – può essere considerato colpevole fino a condanna definitiva, ribadendo, però, «Se colpevole, «nessuno sconto di pena e carcere a vita») ha sottolineato che «tutti gli uomini devono fare il mea culpa e chiedere scusa».
Affermazione che il Pd ha immediatamente strumentalizzato, M5s e cespuglietti dem Avs e +Europa ne hanno approfittato per scatenare una vera e propria caccia all’uomo, anzi no, al maschio.
E per una settimana tra un’ospitata televisiva e l’altra, una manifestazione e un corteo, un assalto alla sede dell’associazione Provita, cui non hanno mancato di partecipare i leader della sinistra, tra un minuto di rabbia e uno di silenzio, un attacco al governo e un al patriarcato, ma non a quello islamico (tant’è che il manifesto delle femministe è pro Hamas) che nel 2023 continua a tenere sotto scacco le donne e, se non filano diritte, le ammazza. Un esempio per tutti: l’omicidio di Saman Abbas (la diciottenne di origini pakistane che voleva scegliersi l’uomo per la vita, ndr).
Il manifesto femminista
Non hanno fatto che straparlare fingendo di volere giustizia per la povera Giulia, in realtà per offrire l’ennesimo spettacolo antigovernativo. Non a caso il manifesto femminista di cui sopra dice «no» al Ponte sullo stretto. Ma che c’entra? Boh! E dulcis in fundo, tira in ballo il patriarcato e qualcuno, la scrittrice Valerio, addirittura il colonialismo, diffondendo odio e ideologia a piene mani, contro il genere maschile ma nessuno si è preoccupato di chiedere esplicitamente la punizione, giustizia vera e certezza della pena, senza sconti per il colpevole.
C’è da chiedersi, perché pur di dare addosso alla Meloni, nessuno si sia fatto scrupolo di mostrare almeno un briciolo di rispetto e di solidarietà per la grande dignità e il dolore per il dramma che due famiglie, stavano e stanno vivendo. Tra l’altro dandosi coraggio a vicenda e senza rancore.
Da una parte, i genitori di Filippo, l’assassino (Elisabetta Martini e Nicola Turetta) confusi, ma presenti, fra la folla alla veglia in ricordo della giovanissima vittima, cui lo zio di quest’ultima, Andrea, li aveva invitati «per farci sentire uniti in questo dolore» e piangere insieme «noi per la perdita di Giulia e loro nella sofferenza di un figlio che ha provocato una così grande perdita», cui Nicola Turetta – dopo aver ribadito il proprio affetto per la ragazza – ha chiesto perdono, aggiungendo: «Mio figlio Filippo dovrà pagare per quello che ha fatto».
Dall’altra, Elena la sorella, e Gino il padre della vittima – tra l’altro, vedovo da appena un anno della moglie Monica – che ha detto di non provare né odio, né rabbia per Filippo e di sperare che «viva a lungo per capire ciò che ha fatto».
L’esigenza della sinistra
Ebbene, cosa c’è di patriarcale in tutto questo? Niente, solo l’esigenza della sinistra – dopo i 5 «sì» alla legge di bilancio 2024: dalle 4 agenzie di rating (Dbrs, S&P, Fitch, Moody’s) e Ue – di trovare un altro motivo per dare addosso al governo.
Un tiro al bersaglio cominciato con una schioppettata dell’ex europarlamentare Pd e conduttrice «La7», Gruber: «In Italia forte cultura maschilista, la destra non la contrasta e lei (ovviamente, Meloni, ndr) si fa chiamare il presidente», dichiarazione figlia dell’ignoranza ovvero di non sapere che il Cerimoniale di Stato prevede per il premier, anche se donna, l’appellativo da usare è «il signor Presidente del Consiglio dei ministri». Ovvio che, prima di oggi, nessuno se ne sia reso conto. Finora a Chigi non c’era mai stata una donna.
In realtà, patriarcato e colonialismo con questi delitti non c’entrano, e qualora, c’entrassero, «patriarchi» e colonialisti, sarebbero loro. Nei 76 anni di democrazia in Italia, tra prima e seconda repubblica in varie forme e diverse coalizioni, in qualche caso anche con Lega e Fi, hanno governato per l’86% del tempo ovvero 65 anni.
Durante i quali hanno provveduto ad allargare le maglie della Giustizia (mi riferisco a quella vera con la G maiuscola), cancellando la certezza della pena, concedendo premialità per «buona condotta) in carcere, anche a chi libertà di era premialità e benefici, anche per i «femminicida» e per chi in libertà si erano resi responsabili di delitti e reati di estrema gravità e che in altri Paesi avrebbe subito ben altri trattamenti.
Mentre il centrodestra (per altro, in quei lunghi 65 anni di opposizione si è sempre battuto contro queste aberrazioni, qualcuno vorrebbe metterlo sotto accusa) per il 14% (11 anni) e la Meloni – che ha sempre rifiutato di partecipare ad ammucchiate – ancora meno: appena un anno.
I premier «investiti» dall’alto
Senza dire che dal 2011 a settembre 2022 abbiamo avuto ben 7 governi e 6 premier, con un bis (Monti, Letta, Renzi, Gentiloni, Conte 1-2 e Draghi). Nessuno di loro passato per le urne, ma tutti «investiti» dall’alto, proprio come gli antichi patriarchi tramandatici dalla Bibbia, investiti da Nostro Signore. E ancora adesso, nonostante le reiterate sconfitte elettorali subite da settembre dell’anno scorso a oggi, pretenderebbero di essere ancora loro a governare. Anzi, a comandare. Ma il «sì» Ue alla revisione del Pnrr che mette nostra disposizione altri 21 miliardi, rappresenta la loro ennesima bocciatura internazionale. Quale altra bufala s’inventeranno, ora?
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