Israeliani e Palestinesi: due popoli, due territori, due Stati!?

di Rino Nania

Forse in questi casi pensare in grande serve a superare la linea d’ombra e dare un’architettura diversa al nostro futuro

La vicenda avviata da Hamas il 7 ottobre scorso, oltre ad aver prodotto atrocità, continua a rinfocolare il dibattito internazionale sommando interpretazioni ad arbitrarie e parziali conclusioni. Tante sono le contraddizioni del dibattuto pensiero che dovrebbe dare e seguire una logica a che questo conflitto possa interrompersi e, quantomeno con una tregua, avviare discussioni risolutive, senza ingenuità, con effetti permanenti.Certamente in quest’ultimo caso non si può cogliere perché tra i contendenti possa avviarsi una discussione poggiata sui reciproci ricatti, sì da registrare e chiudersi atteggiamenti sterili.

I quesiti che oggi rilevano, partendo dal classico: che fare? proseguono con ulteriori interrogativi ovvero che israeliani e palestinesi riusciranno mai ad abbattere il muro che li divide e a vivere in due stati, lo Stato libero d’Israele e lo Stato libero di Palestina oppure in uno Stato binazionale?

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Ed ancora è possibile lavorare diplomaticamente per costruire un sistema di relazioni fruttifere che diano la stura per la definizione ed il riconoscimento tra due popoli, due territori, due Stati? ma ciò che rileva, ancor più in via dubitativa, rimane la domanda se sia possibile una pace durevole in Medioriente con due Stati? Se ne parla da sempre, ma non si è realizzata mai. Ed ancora: ma Israele e Palestina possono vivere fianco a fianco?

Rispetto a tutti questi quesiti non vi sono conclusioni facili a cui approdare ed i dubbi non fanno altro che moltiplicare paure, diffidenze, verità parziali, atteggiamenti inani di Europa e attori internazionali che dovrebbero lavorare per una sorta di definitiva pacificazione e non lo riescono a fare fino in fondo per le troppe interferenze tattiche.

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Ed allora bisognerebbe trarre da queste domande ragionamenti capaci di andare oltre la storia, in cui è facile incappare nelle reciproche recriminazioni. O meglio evitare di tornare ai riflessi condizionati di sempre: ebrei deicidi, ovvero tutto ciò che è venuto fuori dalla tradizione russa con i Protocolli dei Savi di Sion. Evidentemente in questo caso sarebbe ancora più difficile che si possa mettere luce laddove le tante ombre e le fin troppe tenebre anziché diradare dal cielo, che si presenta buio e tetro, quei nembi portatori nefasti di tragedie, in cui la nebbia intellettuale non oscurare le dinamiche , confondendo petizioni di principi e soluzioni. Qui per dirla con Fernando Gentilini bisognerebbe parlare «ai cittadini di Gerusalemme, che molte volte non sanno di esserlo…».

È evidente che questo empito riguarda le religioni e le antropologie, le storie e le loro declinazioni pieni di fallacia e corrompimento degli animi e soprattutto delle logiche di potere. In questa ricostruzione insistono linguaggi, luoghi e usanze che affondano le radici in un passato che non vuole passare e che Gentilini chiarisce laddove individua «alla base di certi comportamenti ci sia un groviglio di istinti, emozioni e passioni…».

Sicché, in questa ampiezza letteraria e geopolitica bisogna versare il proprio impegno dubitativo che deve confrontarsi con tutto ciò che proviene dal cristianesimo che su quella terra ha costruito la propria tradizione e che ha saputo immaginare per l’uomo un destino capace di superarlo, di proiettarlo oltre i suoi stessi limiti, ovverosia di donargli l’immortalità che aveva sempre desiderato: una mentalità da cui si è avviato il percorso psico-analitico, che guarda dentro l’anima individuale e collettiva.

Su questi ragionamenti, apparentemente astratti, poggia e si profila una via d’uscita fatta di dialogo finalizzato alla pacificazione. Se tale intendimento non si realizza con questi strumenti e modelli il tutto si riduce ad una contrapposizione regionale che porta con sé uno stigma millenario e che porta ancora avanti lo strascico imperituro di un terribile destino di atrocità. Forse in questi casi pensare in grande serve per superare la linea d’ombra e dare un’architettura diversa al nostro futuro.

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