Napolitano, l’italiano medio che ha attraversato la Storia tra contraddizioni e ideologie

di Rino Nania

Ha trasformato la democrazia parlamentare in una sorta di monarchia costituzionale e ha sempre taciuto sui finanziamenti sovietici al partito

Figlio della buona borghesia napoletana, con madre di nobili origini appartenente alla famiglia Bobbio, l’emerito Presidente della Repubblica, con la sua dispiegata vita, è frutto di tutto ciò che si imposto all’attenzione degli italiani ed alla volontà degli stessi.

Attraversò il fascismo dei GUF, nutrendosi dei più profondi assetti ideologici (Gentile, Spaventa …) che si sono poi trasfusi anche nel comunismo, e come non poteva non essere, financo nell’antifascismo di maniera. Napolitano, all’interno del PCI si coltivò nella nidiata di Giorgio Amendola, figlio del liberale Giovanni, che volle rappresentare il volto moderato del comunismo italiano.

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Certo Giorgio Napolitano si fece assimilare, con eleganza e con una buona dose di cinismo, dal comunismo internazionale ispirato dalla madre Unione Sovietica, ponendosi a favore e manifestando esplicito consenso alla invasione dei russi dell’Ungheria nel ’56. P

erché, bisogna ricordarlo, Napolitano fu comunista e fu pure il cosiddetto ministro degli esteri del partito comunista, quello che deteneva le redini delle politiche e degli affari (secondo Cervetti, dirigente del PCI) tra l’Italia e l’ex Unione Sovietica.

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Le accuse di Bettino Craxi

Al punto che Bettino Craxi, interrogato dal PM Di Pietro durante il processo su tangentopoli, evidenziò e accusò Napolitano di aver taciuto sul finanziamento illegale del PCI.

In questo quadro l’esponente comunista, al tempo Presidente della Camera dei Deputati durante il processo Cusani, fu accusato da Bettino Craxi come soggetto che non poteva non sapere, per il ruolo esercitato, del finanziamento illegale dell’Unione Sovietica verso il PCI. Difatti, negli anni ‘90, il dossier Mitrokhin ha confermato che solo negli anni 1971-1977 il PCI ricevette dall’Unione Sovietica 22 milioni di dollari. Non risulta che, su questi temi molto dibattuti e resi noti a tutti, Napolitano abbia mai fatto ammenda per il suo silenzio. Così quest’uomo silenzioso è stato Presidente della Repubblica, rispettato da tutti (giustamente visto il ruolo che ricopriva) e da alcuni addirittura osannato.

Una sorta di monarchia costituzionale

Ma ha fatto di più, nell’esercizio dei suoi poteri presidenziali, ha reso la democrazia parlamentare italiana una sorta di monarchia costituzionale, giacchè, con modi felpati, ha decapitato l’elezione di un leader, Berlusconi, facendosi garante di un potere extra-istituzionale che portò Mario Monti a ricoprire il ruolo di primo ministro, nel 2011, utilizzando straordinariamente strumenti, che poco hanno a che vedere con la democrazia parlamentare e con il consenso legittimante del corpo elettorale.

Insomma Napolitano con l’interpretazione molto personale di questa sua esperienza presidenziale fornì alla storia costituzionale italiana, ciò che Carl Schmitt definì lo «stato di eccezione» e che lo scienziato del diritto tedesco ha disciplinato e previsto nella carta costituzionale tedesca. Eppure la Repubblica italiana non riconosceva e non conteneva nel suo alveo dottrinario e lessicale tale «stato di eccezione» se non come arbitrio.

Insomma con Napolitano, Presidente della Repubblica, si costruì una sorta di governo dell’arbitrio, sì da annullare e/o sospendere la democratica, ordinata e civile convivenza della comunità nazionale, che doveva sempre e comunque garantirsi in osservanza dell’art.1 della costituzione, secondo cui «L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro. La sovranità appartiene al popolo…»

Ebbene questa sua interpretazione politica in oltre settant’anni di impegno pubblico rassegna la stura di una dimensione levantina, ma certamente elegante, in cui coniugare interessi personali con convenienze di partito, interpretazioni interessate e atteggiamenti discutibili. Ovvero, rientrando nel genere dell’ossimoro, assunse le sembianze del garantista per tutelare anche se stesso, ammise nel regolamento la tesi giustizialista del voto palese per l’autorizzazione a procedere su parlamentari sottoposti a misure cautelari e provvedimenti giudiziali. Fu funzionale ad un sistema che aveva poco a che vedere con le idee professate a difesa del popolo e della democrazia. Fu re e se ne compiacque.

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