Le tante diseconomie esterne alle imprese impediscono al Mezzogiorno di diventare quello che potrebbe essere, il volano d’Italia
Meloni e Fitto ci pensino. Forse per coerenza, certamente per convinzione, ma…. Ritenendoli, da sempre strumenti utili a consentire al Sud di recuperare i divari che lo separano dal Nord, non mi sembra corretto parlarne in termini negativi se il governo pensa di utilizzarli per lo sviluppo del Paese.
Ma da meridionale, non posso non chiedermi che differenza c’è fra la «Zona Economica speciale» per il Mezzogiorno, proposta dal ministro Fitto per facilitare e migliorare qualità e quantità della spesa Pnrr nell’Italia del tacco e la Macroregione Autonoma dell’Italia del Sud, proposta dal sottoscritto col saggio «Capitale Sud» – Autonomia meridionale per tornare primi» – (per la messa a punto di un progetto unitario e complessivo di sviluppo che, alla luce delle potenzialità territoriali, indichi cosa debba essere il Sud: un’area turistica, agricola, industriale, una piattaforma logistica per il Mediterraneo, una zona di scambio o cosa? E di quali infrastrutture occorra dotarlo per poterlo essere) edito da Iuppiter nel 2017 e l’«Autorithy per il Mezzogiorno» – per far si che programmi e progetti per il Mezzogiorno non continuino a restare sempre, sulla carta, ma arrivino a compimento – in «Buio al Sud» (2007) per «I quaderni del Cerchio»?
E fra la partecipazione dei lavoratori agli utili dell’impresa proposta nei giorni scorsi da Fdi per aumentare salari e stipendi e la «paga partecipativa» proposta ne «La scelta – la Destra prima e dopo Fiuggi» edito da D’Amelio editore nel 1996 con prefazione del compianto onorevole Antonio Parlato?
Per altro anche per rispetto della Costituzione, quella fondata sul lavoro che all’art 46 prevede che: «Ai fini della elevazione economica e sociale del lavoro e in armonia con le esigenze della produzione, la Repubblica riconosce il diritto dei lavoratori a collaborare, nei modi e nei limiti stabiliti dalle leggi, alla gestione delle aziende». Ma dire, oggi, cosa differenzi le une dalle altre è impossibile.
Perché l’Italia sia davvero «una» e «unita»
A parte, la considerazione che le prime – ad eccezione della Zes – intendono, giustamente puntare a far crescere il Paese nella sua interezza e le seconde avevano e hanno come obiettivo il recupero dei divari fra Centro-Nord e Italia del tacco perché l’Italia sia davvero «una» e «unita», bisogna aspettare che siano, come si dice oggi, «messe a terra». Nello specifico «scritte su carta». Di più, «realizzate».
E’ chiaro, però, che allargarne l’efficacia a tutto il Paese, significa depotenziarne la potenzialità pro Sud. Si tratta, infatti, di interventi, che per dare appieno i risultati sperati vanno accompagnati con misure atte a recuperare gli squilibri tra le due macroaree. Cominciando dalla competitività. Cancellando le – obiettivamente troppe – diseconomie esterne con le quali le imprese meridionali sono costrette quotidianamente a confrontarsi per la propria attività e, quindi, la realizzazione a Sud del Garigliano di un’adeguata rete infrastrutturale.
A cominciare dalla mobilità. Per avvicinarle ai mercati, localizzati nell’Italia del Nord e raggiungerli con i propri prodotti è decisamente più difficile, complesso e costoso che per i loro concorrenti del Nord: «Alta velocità», «alta capacità» e ponte sullo Stretto, quindi. Rendendo, poi, più facile e meno gravoso il rapporto con le banche, l’accesso al credito» e il costo del denaro che agli imprenditori del Sud costa, quando va bene, almeno 3 volte di più che ai colleghi del Nord.
La banca territoriale
Anche a causa della mancanza di una banca territoriale ed essendo, ritenuto area a rischio insolvenza, le banche continuano a sparare nel mucchio, colpendo anche chi non lo meriterebbe. E discorso analogo vale per quanto attiene le assicurazioni, a causa degli incidenti «troppo» spesso considerati fasulli e, quindi, triplicando il premio. A danno, soprattutto, degli onesti.
Poi la liberazione del territorio dalla pressione della criminalità. Anche «pizzo», «tangenti» e «racket», rappresentano costi aggiuntivi che tolgono competitività alle imprese e scoraggiano qualsiasi investimento per il Sud. E l’Italia resterebbe un Paese duale, col rischio di vanificare il buon lavoro che sta svolgendo – e gli ottimi risultati che ne stanno scaturendo per il turismo culturale – il ministro Sangiuliano, e il disegno di riqualificazione dei suoi siti archeologici, per il rilancio del Sud.