Matteo Messina Denaro spavaldo: «Le telecamere? Sapevo anche chi le metteva»

di redazione

Il boss conosce persino i nomi degli investigatori di punta dei carabinieri del Ros

«Tutte le telecamere di Campobello di Mazara (Trapani, ndr) e Castelvetrano (Trapani, ndr) le so…». Spavaldo nel suo narcisismo, Matteo Messina Denaro è anche allusivo e conosce pure i nomi di chi lo cercava. Nell’interrogatorio del 13 febbraio scorso, ai pm di Palermo Maurizio de Lucia e Paolo Guido il boss nega qualsiasi rapporto di tipo istituzionale con pezzi deviati dello Stato.

Parla, l’ex superlatitante, di un appuntamento col fiancheggiatore Andrea Bonafede, l’uomo che gli prestò l’identità: «Io – dice – ci sono andato al posto di lavoro, anche perché se ci andavo a casa mi arrestavate, perché c’era la telecamera che guardava a casa sua». Chiede il procuratore de Lucia: «E lei lo sapeva». Risposta: «Tutte le telecamere di Campobello e Castelvetrano le so, primo perché ho l’aggeggio che le cercava, che non l’avete trovato e poi perché le riconosco».

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L’installazone delle telecamere

Ovviamente alla domanda su dove si trovi «sto aggeggio», il detenuto replica in modo vago, per poi andare subito nello specifico, anche in maniera raggelante: «Lo tenevo in un altro posto. E poi perché le riconosco, le telecamere. Le spiego come funziona: c’era pure un’altra cosa. Molte di queste telecamere quando le piazzavano, perché all’inizio quando iniziarono erano tutte di notte, poi anche di giorno, c’era un segnale: il maresciallo dei Ros (ne dice il cognome, ndr), c’era sempre lui appena si vedeva … con due, tre fermi in un angolo già stavano mettendo una telecamera, anche se ancora non avevano messo mano».

I pm prendono atto della conoscenza, da parte della consorteria mafiosa e della cerchia del latitante, persino dei nomi degli investigatori di punta dei carabinieri del Ros: cosa che dimostra i pericoli corsi da chi ha indagato in prima linea. Cercano così di capire meglio: «Vabbè, ma lei non è che era sempre in giro». Risposta: «No, me lo dicevano». Chi? «Amici miei che non dico». Amici che sapevano chi era Messina Denaro però, insiste l’accusa. Risposta: «Certo, è normale questo, è normale». Insiste il procuratore aggiunto Guido: «Quindi c’era tanta gente che sapeva chi era lei». Messina Denaro: «Ma il punto è che molti ve li siete portati (arrestati, ndr)»

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