Ieri cominciate le autopsie sui corpi di Fulvio Fila e Maria Vittoria Prati
Cercano risposte anche dalle autopsie, cominciate ieri, gli inquirenti che indagano sulla morte – da molti definita assurda – del giovane laureando e della ricercatrice del Cnr che viaggiavano sull’auto-prototipo esplosa lo scorso 23 giugno sulla Tangenziale di Napoli. Un’inchiesta complessa e a tutto campo, che riguarda molteplici aspetti, non ultimo quello della presenza a bordo del tirocinante. Le ipotesi di reato, nel fascicolo allo stato contro ignoti, sono quelle di duplice omicidio e incendio colposi.
Nel secondo Policlinico di Napoli sono cominciate alle 14 le autopsie sulle salme di Fulvio Filace e Maria Vittoria Prati, 25 e 66 anni, il primo laureando in ingegneria e la seconda ingegnere e ricercatrice del Cnr, morti nel reparto Grandi ustioni dell’ospedale Cardarelli di Napoli. La prima a perdere la vita, a causa delle estese e profonde ustioni riportate su gran parte del corpo (90 per cento) è stata la donna, lo scorso 26 giugno, mentre Fulvio è deceduto tre giorni dopo, nonostante i numerosi interventi cui è stato sottoposto.
Ai periti – Pietro Tarsitano, primario emerito di medicina legale, e l’anatomopatologo Antonio Perna – i magistrati della sezione Lavoro e colpe professionali hanno posto diversi quesiti, che si possono riassumere in tre: verificare le cause della morte, stabilire in che modo siano collegate alla deflagrazione della vettura-prototipo che stavano testando e classificare il tipo di ustioni riportate dalle vittime. I consulenti, dopo avere terminato il loro lavoro, avranno sessanta giorni per depositare le conclusioni, dalle quali gli inquirenti sperano di ottenere elementi utili a ricostruire la dinamica, e soprattutto le cause, di quanto è successo.
L’indagine – che ha visto il coinvolgimento in prima battuta della Polizia stradale e poi dei carabinieri del Ris di Roma e di quelli del Nucleo investigativo di Napoli – presenta molte questioni che devono essere chiarite. Tra queste i contratti di formazione, le norme che regolano l’utilizzo degli stagisti – ci si chiede infatti se un tirocinante potesse trovarsi a bordo di una vettura oggetto di un test sperimentale, che ora è evidente presentava profili di rischio – e l’impiego dei fondi (anche europei) con cui è stato finanziato il progetto.
Determinanti saranno pure gli accertamenti che consentiranno di risalire alle cause dello scoppio che, secondo una prima analisi, potrebbero essere riconducibili al contenuto di alcune bombole utilizzate per testare le emissioni nell’ambiente del prototipo, una Volkswagen Polo Tdi, utilizzato insieme con un’auto gemella sequestrata nei giorni scorsi, nell’ambito di un progetto denominato «Life-Save» che prevede l’affiancamento di un sistema di propulsione a energia solare a un tradizionale motore termico. Ma non si può nemmeno escludere che le fiamme siano state innescate dalle batterie supplementari istallate sul prototipo.
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