Golpe in Russia. Tanto tuonò finché non piovve

di Nuccio Carrara*

E ora alla Wagner non resta che accettare il comando militare russo e un contratto con il ministero della Difesa, come le altre milizie mercenarie

Golpe sì, golpe no, golpe ni: sembra questa la sintesi di quanto avvenuto in Russia il 24 giugno scorso a seguito della ribellione del capo delle milizie mercenarie Wagner, Yevgeny Prigozhin, conclusasi con una quasi marcia su Mosca.

I media occidentali hanno detto di tutto e di più inseguendo l’irrefrenabile desiderio di vedere Putin finalmente nella polvere e la grande Russia smembrata e impotente: un film che si è tentato di sviluppare in ambienti Usa, Nato e Ue per dare un senso e un lieto fine alla montagna di miliardi fin qui spesi in armamenti da offrire al loro condottiero e attore preferito, Zelensky.

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Gli umori sono andati dall’entusiasmo mattiniero, quando si vedeva Prigozhin invadere Rostov dove ha sede il comando generale delle operazioni in Dombass, alla delusione serale dopo il dietrofront della colonna di cinquemila miliziani Wagner diretti minacciosamente su Mosca per decapitare i vertici militari (Sergey Shoigu, ministro della Difesa e il Capo di stato maggiore delle Forze Armate russe Valery Gerasimov) e detronizzare lo zar Putin (secondo le speranze dei più ottimisti).

In altre parole, si è passati da un entusiasmante colpo di stato, dato per certo in mattinata, ad un colpo di stato miseramente abortito prima di sera.

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Ma l’informazione occidentale non si è arresa e la narrazione, dovendo abbandonare i toni catastrofici, si è orientata a descrivere Putin come un leader molto indebolito e comunque prossimo alla fine. Naturalmente trattasi di informazione «libera» pendente dalle labbra di Zelensky che da Capo di Stato e fine analista, a conclusione di una giornata molto movimentata, ha tracciato il solco delle interpretazioni «corrette»: «Oggi il mondo ha visto che la Russia è senza padroni, nel caos totale».

Il mondo diviso in due

Nella cartina geografica elaborata dalla rivista di geopolitica Limes, diretta da Lucio Barra Caracciolo, il globo terrestre è diviso in due aree: Ordolandia (il mondo ordinato, senza conflitti interni) e Caoslandia (dove imperversano guerre intestine e terrorismo). Va da sé che la Federazione Russa ha sùbito meritato l’iscrizione d’ufficio in Caoslandia.

Tuttavia, secondo Zelensky, «il mondo non dovrebbe aver paura» perché c’è lui pronto a difenderlo, e «l’Ucraina sarà sicuramente in grado di proteggere l’Europa da qualsiasi forza russa e non importa chi la comanderà». Possiamo stare tranquilli.

In Ucraina, e di rimbalzo anche in Europa e Usa, c’è chi crede che si sia trattato di una «messinscena» concordata tra due vecchi amici, Putin e Prigozhin. È di questo avviso, ad esempio, l’ex deputato della Duma russa, Ilya Ponomarev, l’unico ad avere votato contro l’annessione della Crimea alla Federazione Russa e oggi rifugiato in Ucraina. In un’intervista all’Adnkronos sostiene che Putin abbia voluto «spaventare sia l’élite russa che quella internazionale» facendo credere che «non è lui la peggiore alternativa» mentre Prigozhin sarebbe uno «che nessuno nella comunità internazionale vorrebbe vedere con un pulsante nucleare in mano».

Ad ogni buon conto, se pure l’operazione sia andata in porto, presenterebbe comunque qualche aspetto positivo per l’Ucraina: il crollo del morale delle truppe russe e «problemi» (dati per certi) nella loro catena di comando.

In realtà, i fatti raccontano di uno scontro duro, tra il capo della Wagner e i vertici militari russi, che dura ormai da mesi e non avrebbe dovuto trovare spazio nei ranghi di una nazione belligerante. Probabilmente ha detto il vero Putin quando ha parlato di «interessi personali, ambizioni smisurate che hanno portato al tradimento del paese». Si riferiva indubbiamente al capo della Wagner pur evitando di nominarlo.

Chi è Prigozhin

La biografia di Prigozhin, infatti, dovrebbe far riflettere sulla bontà del personaggio, un condensato di interessi personali e ambizioni smisurate: da delinquente incallito, in gioventù è stato condannato per reati infamanti (furto, rapina, frode, sfruttamento della prostituzione giovanile); è diventato poi un imprenditore, poco limpido ma di successo, investendo in casinò e ristoranti (da qui il soprannome di Cuoco di Putin suo cliente) per finire alla guida di milizie mercenarie sparse per il mondo.

Probabilmente la lucidità e la freddezza del capo del Cremlino nonché il sostegno manifestatogli dai militari e dalle forze politiche, comprese quelle di opposizione, sono stati determinanti nell’evitare uno sanguinoso scontro armato che avrebbe potuto innescare il caos di una guerra civile. A ciò si aggiunga una sapiente mediazione, che ha visto protagonista il presidente bielorusso Lukashenko, che ha consentito una resa onorevole per Prigozhin e per le sue truppe che lo hanno seguito o intenderanno seguirlo in Bielorussia dove troveranno ospitalità.

Inoltre, anche la Wagner dovrà accettare di porsi sotto il comando miliare russo sottoscrivendo un contratto con il ministero della Difesa, come già hanno fatto le altre milizie mercenarie che hanno goduto di ampia autonomia operativa.

Putin ne è uscito ancora una volta vincitore e probabilmente rafforzato come pensano alcuni commentatori, come il generale Bertolini e Gianandrea Gaiani, direttore di Analisi Difesa, non inclini a lasciarsi influenzare da un’informazione spesso di parte e più interessata alla propaganda filo occidentale che al rispetto della verità.

La controffensiva ucraina

Intanto, sul fronte militare, la decantata e tanto attesa controffensiva ucraina langue e non riesce a raggiungere risultati apprezzabili, quasi per stessa ammissione del ministro della Difesa ucraino Oleksii Reznikov, che ha parlato di iniziative iniziali «sopravvalutate». I suoi generali peraltro non hanno saputo approfittare neppure del momentaneo vuoto di potere che aveva disorientato la catena di comando dell’esercito russo.  La tempesta annunciata tra lampi e tuoni non è arrivata e neppure una misera e consolante pioggia.

Nuccio Carrara
Già deputato e sottosegretario
alle riforme istituzionali

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