Da una parte uno che vuole preservare la sovranità del suo Paese, dall’altra uno che vede la salvezza solo in un’accoglienza sempre più spinta
Nulla accade per caso e non sembra affatto anodina la visita di Papa Bergoglio in Ungheria, un paese che rivendica orgogliosamente le sue radici cristiane sottolineate dalla dinastia di Arpad, principe magiaro che con Stefano I evangelizzò il paese, diede due sante alla Chiesa cattolica (Santa Elisabetta e Santa Margherita ) e i cui discendenti portavano una volta il titolo di Maestà Apostolica.
Un segno distintivo rimasto in un Paese di meno di 10 milioni di abitanti in cui solo il 39% si dichiara cattolico e l’11% protestante. Certamente si può ricondurre questa visita di tre giorni del pontefice in Ungheria ad un facile cliché: quello dell’incontro del cortese Papa dell’accoglienza con il pessimo Victor Orban, concentrato di nazionalismo, razzismo e omofobia, secondo la narrazione UE.
In realtà l’incontro tra il successore di Pietro aperto alle migrazioni e il difensore dei valori cristiani nella società civile ha un significato più profondo. A ben vedere le cose sono più complicate innanzitutto perché Orban non è capo di stato ma primo ministro e il protocollo prevede che sia il Presidente della Repubblica, Katalin Novak, ad incontrare il Pontefice, poi perché alle prassi tradizionali cerimoniali si è aggiunta la discussione sulla guerra in Ucraina, paese limitrofo dell’Ungheria e si sa che Bergoglio invochi la pace ed Orban sia molto tiepido rispetto alla guerra tanto da aver rifiutato di rifornire di armi il suo vicino e aver continuato ad intrattenere rapporti Putin.
In più l’Ungheria difende vigorosamente la sua sovranità e la sua identità ed anche se ha chiuso le sue frontiere nel momento più drammatico dell’ondata migratoria proveniente dall’est nel 2015, ha tuttavia accolto centinaia di migliaia di rifugiati ucraini dall’inizio del conflitto nel 2022. Come riconosciuto del resto dallo stesso Papa che aveva ringraziato Orban, ricevuto in visita privata in Vaticano nell’aprile dello stesso anno.
In definitiva questo incontro tra i due estremi, quello dell’apertura e quello del radicamento, rimane altamente simbolico perché, in fondo, due visioni della cristianità, se oggi possiamo ancora utilizzare questo termine, oppongono i due uomini. Orban, da 13 anni a capo del suo Paese difende i valori tradizionali della famiglia e promuove politiche nataliste (cose che dovrebbero essere gradite al vescovo di Roma); Papa Bergoglio, in generale restio a parlare di radici cristiane dell’Europa, pur se aveva parlato di un’Europa sterile e senza vitalità ricevendo il premio Carlo Magno nel 2016.
Da una parte uno che vuole preservare la sovranità del suo Paese, dall’altra uno che sembra vedere la salvezza soltanto in un’accoglienza sempre più spinta, dimenticando di ricordarsi come si tratti, quasi sempre, di flussi migratori, manifestamente musulmani.
Potrebbe interessarti anche:
- Maggioranza e opposizione si incontrano per discutere delle riforme istituzionali
- Benvenuti nell’era dell’armocromia della nuova sinistra che veste bene ma razzola male
- Camorra, sequestro da 40 milioni di euro a imprenditore vicino al clan
- Napoli, terzo scudetto ovvero: la vittoria dell’appartenenza