Per Fratoianni «la destra fa controprogrammazione». I sindacati scendono in piazza con il solito concertone
«Consumata» – meglio «distrutta» con le solite infiltrazioni di odio da parte della sinistra – la «festa della liberazione», ieri primo maggio, è stato il turno di quella «del lavoro». Due ricorrenze, di cui la sinistra da decenni sta tentando di appropriarsi. E nonostante le abbia già «ridotte» a poco più che vuote passerelle, intrise di veleni, ancora ci prova.
E se la prima – anche quest’anno – è scivolata tra le polemiche ma senza produrre particolari danni, grazie alla lettera della Meloni: «oggi sia la festa della libertà», in cui ha ribadito per l’ennesima volta che «la Destra è incompatibile col fascismo». Apparsa, alla luce della sequenza dei tempi, come una risposta anticipata alla vigliaccheria di chi a Napoli, ha affisso i manifesti suo, di La Russa, Piantedosi e Valditara a testa in giù; quella del primo maggio – con il CdM, convocato nel «dì di festa», per «santificare», con l’approvazione di un apposito ddl, il lavoro – ha inferto a Schlein & c., un’altra mazzata.
Non a caso, Fratoianni piagnucola che «la destra fa controprogrammazione». E’ vero, prova a rilanciare l’occupazione, con il taglio di tasse sul lavoro che, per i redditi medio-bassi arriverà fino a 100 euro in più in busta paga. Ci sono poi i programmi di formazione per chi cerca lavoro e incentivi per chi assume, mentre loro non sono mai riusciti ad andare oltre i «bla bla bla» e il concertone. Dal cui palco, Landini ci fa sapere che il «Cdm il primo maggio è diseducativo». Già, insegna che lavorare aiuta se stessi e fa crescere il Paese. E soprattutto che il lavoro nobilita, più di sussidi, elemosine e redditi di cittadinanza.
Il nuovo patto di stabilità europeo
Ma il piano di rientro dal debito previsto dal nuovo patto di stabilità europeo che sarà in vigore dal primo gennaio 2024, rischia di devastare la nostra economia perché il combinato disposto dei nuovi vincoli e la debitoria italiana: deficit/Pil 8% contro il 3; debito/Pil 144,4% anziché 60, potrebbe richiederci, per rientrare nei confini, una manovra correttiva di 15-16 miliardi annui se tarata su 4 anni o, se tarata su 7, di oltre 9 milardi per i primi 4 e di 4,5 per gli altri 3.
Probabilmente, a Bruxelles, si comincia a sentire puzza di eurobruciatura elettorale e spostamento da sinistra a destra degli equilibri. E si prova ad aggirare il pericolo, mettendo in difficoltà la Meloni e le destre soprattutto quella italiana. Certo, inizialmente, l’opposizione consapevole del rischio che corre il Paese, si è ribellata alla proposta. Ma tornata in sé, si è ricordata di essere opposizione e si è messa a gridare «al lupo al lupo» contro l’esecutivo per il suicidio tentato alla Camera dalla maggioranza che – pur forte di 238 deputati – non è riuscita in «prima istanza» a mettere insieme i 201 necessari per far passare il Def ed ha dovuto ricorrere ai «rigori». Siamo seri, però, 25 assenze ingiustificate (11 Lega, 9 FI e 5 FdI), su 238 (oltre il 10%) sono «indigeribili». Ancora di più, in occasioni simili.
La crescita del Pil italiano
Ciò che, però, non può che lasciare perplessi è dover constatare che mentre il Pil italiano già acquisito – nei primi 3 mesi del 2023 (+0,8%), appena uno 0,1% in meno di quello (+0,9%) previsto nel Def – cresce più veloce di quello di Francia e Germania; travolge quello dell’Eurozona fermo a + 0.1%, quello dell’Ue arriva a +0,3%. La crescita maggiore rilevata dall’Eurostat tocca al Portogallo con +1,6%, e l’Italia è medaglia d’argento con Spagna e Lettonia a +0,5%.
E’ ripartito anche il nostro fatturato industriale con +1,3% congiunturale a marzo e un + 7,2% su base annua. Ma la sinistra, disabituata all’opposizione, scappa dall’aula e i sindacati scendono in piazza a protestare. Più che preoccuparsi del Paese e dei lavoratori, preferiscono imprecare contro l’uomo nero che non c’è e abbaiare alla luna.
Intanto, in Ungheria Papa Francesco, alza la voce per stigmatizzare questa Europa e chiederne una migliore «fondata sui popoli». Come la volevano i suoi ideatori. Questo, però, ad Annunziata e compagni non importa. A loro interessa far parlare Fini, «sognando» che metta in riga la Meloni, convincendola a piegarsi ai desiderata della sinistra.
Come fece lui – cadendo nella trappola di Napolitano in nome di Palazzo Chigi – quando affondò il Pdl come aveva fatto prima con An. E fondando Fli, raccogliendo la miseria di 159mila voti e segnando la propria fine politica. Perdendo, così, «Filippo (il partito) e o panaro» (la poltrona). Ma a Palazzo Chigi Meloni è arrivata grazie agli italiani, senza tradimenti. Perché farlo, adesso?
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