Preso nella cattedrale di Genova
Lo hanno bloccato mentre stava pregando nella chiesa di San Lorenzo, la cattedrale di Genova, seduto su una panca. Quando i carabinieri si sono avvicinati e gli hanno intimato di seguirli, lui è apparso «spaventato e sorpreso», poi ha confermato la sua identità, si è alzato e si è fatto scortare fuori. E’ finita così la latitanza di Pasquale Bonavota, di 49 anni, ritenuto il boss dell’omonima cosca operante a Sant’Onofrio, nel vibonese, ma con strutture ben radicate in Liguria, Piemonte e Lazio. Il suo nome era inserito tra i quattro superlatitanti nell’elenco dei ricercati di massima pericolosità facenti parte del «programma speciale di ricerca» del Viminale.
Era ricercato dal 2018
I carabinieri lo cercavano, inizialmente, dal 2018, quando si sottrasse alla cattura dopo una condanna per omicidio. E poi dal dicembre 2019, quando sfuggì nuovamente all’arresto nell’operazione Rinascita-Scott che ha decapitato le cosche vibonesi con 334 arresti. Dal reato di omicidio Bonavota è stato poi assolto in appello ma su di lui continuava a pendere l’ordinanza emessa dal gip di Catanzaro su richiesta della Dda guidata da Nicola Gratteri, per essere la mente della cosca. Era l’unico ancora latitante dell’inchiesta Rinascita-Scott.
Con un lavoro minuzioso, gli investigatori sono riusciti a restringere il cerchio a Genova dove, tra l’altro, nel 2008, fu arrestato il fratello Domenico, anche lui dopo una breve latitanza. Qui i carabinieri hanno iniziato a seguire alcune utenze telefoniche e ne hanno individuata una che sembrava la più promettente e che copriva un’area circoscritta che comprendeva anche la Cattedrale. Così ieri è scattato il dispositivo.
Individuato il covo di Pasquale Bonavota
Il covo di Bonavota è stato individuato in una casa nel quartiere di San Teodoro, sulla collina alle spalle del porto, affittata tramite un’agenzia. In città vive anche, ma a Sampierdarena, la moglie, insegnante che pare non avesse avesse contatti diretti con lui. I carabinieri hanno sequestrato alcuni documenti di identità intestati a persone su cui verranno fatti accertamenti oltre a 20 mila euro e diverso materiale.
Trovati anche una decina di telefoni cellulari con schede sim intestate a stranieri e abbonamenti per i mezzi pubblici. Tutto il materiale è ora all’attenzione del Ros per ricostruire la rete di fiancheggiatori.
Un plauso all’Arma è giunto dal ministro dell’Interno Matteo Piantedosi che ha definito la cattura «una risposta forte dello Stato che conferma ancora una volta, dopo gli arresti da inizio anno di Matteo Messina Denaro e di Edgardo Greco, il grande impegno di magistratura e forze dell’ordine per contrastare le organizzazioni mafiose e assicurare alla giustizia pericolosissimi criminali». Un lavoro di ricerca – è stato il commento di Gratteri – portato avanti grazie ad anni «di collaudata sinergia tra il Ros e la Dda» di Catanzaro e che conferma «l’indispensabilità delle intercettazioni, senza le quali non saremmo arrivati alla cattura del boss».
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