L’offerta è stata rifiutata dalla famiglia della vittima
Non vogliono soldi. Solo «giustizia per chi ha spento il sorriso di Giulio». Giulio Giaccio aveva 26 anni quando, presumibilmente il 30 luglio 2000, venne ucciso «per errore» a Pianura, periferia occidentale di Napoli, e poi sciolto nell’acido. Lui non aveva niente a che fare con la criminalità organizzata e non era il vero obiettivo dei killer, che volevano invece punire l’amante «sconveniente» della sorella divorziata di un esponente di spicco del clan Polverino.
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Ora, alla vigilia dell’udienza preliminare, i due uomini arrestati per essere stati i mandanti quell’omicidio ‘sbagliato’ – Salvatore Cammarota e Carlo Nappi, 56 e 64 anni – hanno proposto ai familiari un risarcimento danni. Nappi ha offerto 30 mila euro, Cammarota altri 30mila, più alcuni immobili del valore stimato di 120mila euro. Si tratta, sostengono, del «massimo sforzo economico» che possono sostenere.
I familiari: «Chiediamo giustizia per chi ha spento il sorriso di Giulio»
I familiari della vittima innocente di camorra hanno però respinto l’offerta al mittente: «Confidiamo esclusivamente nelle determinazioni dell’autorità giudiziaria. Chiediamo giustizia per chi ha spento il sorriso di Giulio», hanno detto. Quello di Giaccio è stato un ‘cold case’ risolto nei mesi scorsi, 23 anni dopo, con l’individuazione dei due mandanti, anche grazie alle dichiarazioni convergenti di diversi collaboratori di giustizia e di un pentito in particolare, Roberto Perrone, del gotha del clan Polverino, che anni fa parlò del delitto definendolo «il capitolo più nero e angoscioso» della sua storia criminale.
La ricostruzione
I successivi accertamenti hanno consentito di scoprire che l’operaio edile Giulio Giaccio venne scambiato per un certo Salvatore, un uomo che stava intrattenendo con la sorella di Cammarota una relazione ritenuta ‘sconveniente’ – e dunque osteggiata – perché la donna era divorziata. I killer, fingendosi poliziotti, costrinsero la vittima a salire a bordo della loro auto. Venne condotto in un luogo «sicuro» e qui interrogato.
Giaccio gridò che non era lui la persona che cercavano, ma non venne creduto. A sparargli, un singolo colpo di pistola calibro 28 in testa, a sangue freddo, sarebbe stato il killer del clan Polverino Raffaele D’Alterio. Perrone, che era presente, non si aspettava quell’epilogo. Pensava si trattasse di un pestaggio. L’omicidio lo mandò su tutte le furie, ma si arrabbiò ancora di più il giorno dopo, quando si seppe che lo «specchiettista», cioè quello che indica ai sicari l’obiettivo da colpire, si era sbagliato.
Nel frattempo il corpo del giovane era stato sciolto nell’acido e i resti furono fatti sparire in una «senga», una fenditura del terreno nella zona di Marano di Napoli. Nel corso degli anni la vicenda fu oggetto di diverse indagini, tutte archiviate. Oggi, dopo la recente svolta investigativa, la prima udienza del processo davanti al gup. «Non c’è prezzo per ripagare la vita di Giulio: dopo 23 anni, l’unica cosa in cui la famiglia crede è la Giustizia, alla quale si sono affidati», dice l’avvocato Alessandro Motta, che rappresenta i parenti. «La famiglia – prosegue – chiede la pena più severa per i protagonisti di questo orrendo delitto, soprattutto perché non ha neppure una reliquia su cui piangere».