L’addio sembra ormai definitivo
Azione e Iv separano la loro strade e dicono addio al progetto del partito unico centrista. Un divorzio che si consuma tra accuse reciproche. «Una scelta unilaterale» di Carlo Calenda e «un autogol clamoroso», dicono da Italia Viva. E Azione ribatte che tutto è stato mandato all’aria dal fatto che «Renzi tornato alla guida di Italia Viva da pochi mesi non ha alcuna intenzione di liquidarla in un nuovo partito». Che le cose fossero compromesse era chiaro da giorni. Accuse, dichiarazioni infuocate, scambi al vetriolo. Molti via social. Poi ieri il tentativo di composizione con la riunione del comitato politico. Ma il confronto non porta alla chiusura di un accordo. Sul perché, le versioni di Calenda e Renzi divergono.
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Per il primo il leader di Iv ha cercato di «fregarlo» non dando l’ok allo scioglimento di Italia Viva. Per il secondo, Calenda aveva già deciso di rompere ancor prima di tentare una ricomposizione nella riunione di ieri. «Gli argomenti utilizzati» per arrivare alla rottura «appaino alibi» e i renziani mettono in sequenza gli avvenimenti delle ultime ore per evidenziare come, da loro punto di vista, sia stato Calenda a mettere sul tavolo pretesti per mandare all’aira tutto. Come la richiesta di non fare mai più la Leopolda. «Leopolda, Riformista, retroscena, veline, presunti conflitti di interesse sono solo tentativi di alimentare una polemica cui non daremo seguito».
Iv: «Scelta unilaterale di Calenda»
«E’ stata una scelta unilaterale di Calenda», dicono da Iv. «Noi eravamo pronti a lavorare fino all’ultimo e lo stavamo facendo mentre Calenda se ne è uscito dicendo che il partito unico era morto». Da Iv si ricordano i passaggi delle ultime ore. «Ieri alla riunione c’era accordo su tutto tranne che su due punti: la questione dei soldi con la nostra proposta, riteniamo condivisibile, di dividere a metà tutte le spese e poi il punto della Leopolda che francamente è inaccettabile. Ci siamo lasciati, dopo la riunione, con l’accordo di tenere bassi i toni e poi Calenda esce e spara a zero. Stamattina sui social lo stesso» mentre Matteo Renzi, si sottolinea, ha risposto «con toni distensivi».
Quindi si arriva all’aula stamattina in Senato. «Abbiamo ascoltato Calenda e poi lui se ne è andato di fretta e furia. Siamo rimasti in aula tutti insieme a discutere di come ricomporre e aggiustare il documento e mentre lo facevamo Calenda fa quelle dichiarazioni…». Il sospetto, argomentano i renziani, è che il leader di Azione avesse già deciso di rompere e per un motivo: il timore di perdere il congresso se si fosse candidato Luigi Marattin. «Il sospetto c’è. Dice che Iv non si scioglie? Ma se abbiamo detto che il 30 ottobre Italia Viva si scioglie chiunque vinca il congresso. C’è la data di scadenza come lo yogurt…». Ma perché sciogliere Iv dopo il congresso e non prima? «Perché se qualcosa fosse andato storto durante il percorso congressuale, che facevamo? Restavamo senza partito? Ma la decisione di sciogliere Italia Viva era presa, messa nero su bianco nel documento», argomentano i renziani.
Azione: «Lo stop deriva dalle scelte di Italia Viva»
Dalle parti di Calenda le pensano in modo opposto. A rompere è stata Italia Viva. «Lo stop deriva dalla scelta di Italia Viva di non votare un documento ieri che avevano dichiarato essere già letto e condiviso», si legge in una nota di Azione. «Dietro tutto questo c’è solo un fatto: Renzi tornato alla guida di Italia Viva da pochi mesi non ha alcuna intenzione di liquidarla in un nuovo partito. Scelta legittima ma contrastante con le promesse fatte agli elettori».
Quindi, «dopo mesi di tira e molla ne abbiamo semplicemente preso atto. In un clima volutamente avvelenato da insulti personali da parte di Renzi e di quasi tutti gli esponenti di Italia Viva a Carlo Calenda». Le strade a questo punto sembrano davvero ormai divise. Dicono da Iv: «La costruzione di una proposta alternativa a populisti e sovranisti è da oggi più difficile ma più urgente. Nei prossimi mesi noi rispetteremo gli amici di Azione cercando ogni forma di collaborazione senza rispondere alle polemiche di alcuni dei loro dirigenti».
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