In cella resta anche l’eurodeputato Marc Tarabella
Ancora nessuno spiraglio di libertà. Quasi tre mesi dopo essere stata colta in flagranza di reato e arrestata con l’accusa di essere un tassello fondamentale del Qatargate, il destino dell’ex vicepresidente del Parlamento europeo Eva Kaili non conosce svolta, sospeso nel limbo del carcere di Haren, alla periferia nord-orientale di Bruxelles, dove i giudici hanno ordinato che resti ancora almeno altri due mesi sotto custodia cautelare.
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Una decisione che suona come uno schiaffo contro la politica ellenica, inchiodata anche dalle rivelazioni del pentito Pier Antonio Panzeri e punita con maggiore durezza rispetto al compagno – a lungo braccio destro dell’ex eurodeputato lombardo – Francesco Giorgi, ritornato invece a casa a inizio settimana, dopo due mesi e mezzo di prigione, sotto sorveglianza elettronica. Mentre in carcere resta anche l’eurodeputato Marc Tarabella: per lui, arrestato tre settimane fa, la giustizia ha sentenziato un altro mese in cella in attesa del prossimo riesame a fine marzo.
La Procura di Milano
Ma lo scandalo – che continua a gravitare intorno al deus ex machina Panzeri – si allarga con l’indagine autonoma della Procura di Milano che conosce i suoi primi iscritti al registro degli indagati: Manfred Forte e Dario Scola sarebbero i presunti prestanome di Giorgi che, tramite la società Equality e con l’aiuto della commercialista Monica Rossana Bellini, avrebbero agito per «ripulire» 300mila euro.
Il pericolo di inquinamento delle prove
La decisione negativa dei togati belgi per il duo Kaili-Tarabella, già presa in Camera di consiglio lo scorso 16 febbraio, sembrava essere nell’aria già al termine delle udienze d’appello consumatesi martedì scorso al Palais de Justice di Bruxelles.
Pur senza indicare nuovi dettagli, negli ambienti investigativi trapela la convinzione che l’ex vicepresidente del Parlamento europeo – accusata, oltre di aver aiutato il compagno ad occultare 600mila euro cash, anche di averne ricevuti 250mila direttamente dall’Emiro – possa ancora inquinare le prove, e che vi si il rischio di collusione con altre persone coinvolte nel giro di mazzette per influenzare le politiche comunitarie in favore di Doha e Rabat.
Servizi che avrebbe reso allo stesso anche Tarabella, implicato da Panzeri – insieme al collega Andrea Cozzolino ai domiciliari a Napoli – nella trama con somme di denaro comprese tra i 120mila e i 140mila euro. Tutti elementi che i rispettivi team legali, pur con un insolito e tetro silenzio stampa dietro il quale ormai da settimane si è trincerato l’istrionico difensore di punta di Kaili, Michalis Dimitrakopoulos, continuano sistematicamente a bollare come «accuse egoistiche, infondate e architettate» da Panzeri, che grazie al suo patteggiamento è riuscito a scucire una pena ad un anno di carcere.
Le rivelazioni dell’ex sindacalista lombardo comunque continuano a tenere sotto scacco i due ex compagni di partito, gravati anche dalla trafila giudiziaria belga che – nelle statistiche offerte dal legale del belga, Maxim Toeller, contempla una «durata media della carcerazione preventiva di poco superiore ai tre mesi». Una situazione «difficile da accettare» considerando che, è la strenua difesa, «tre mesi di carcere per un innocente sono sicuramente molto più lunghi che per un colpevole».
La ricusazione del giudice Michael Claise
In attesa di una svolta personale, i due si aggrappano comunque all’appiglio generale della possibile ricusazione del giudice Michael Claise: accusato di parzialità e violazione della presunzione di innocenza, fin qui il combattivo magistrato ha negato tutto. A decidere se potrà continuare a tenere le fila delle indagini sarà martedì 7 marzo la Corte d’appello del tribunale di Bruxelles.
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