Il nostro Paese sta correndo il pericolo di diventare una «dependance»
Niente di nuovo sotto il sole. L’Italia, dopo il voto, è ripartita da dove si era fermata prima. Ma con un governo ancora più forte e convinto dal «sì» degli elettori di Lazio e Lombardia. Letta e compagni sono stati travolti. Ma la colpa – a sentirli – non è loro, né della loro inconsistenza e neanche merito di quanto ha fatto l’esecutivo nei suoi primi 100 giorni di governo.
Sin dal primo «intention poll» hanno cercato – pur fingendo di riconoscerla – di delegittimarne la vittoria, prendendosela con l’assenteismo. Ma nonostante la sonora batosta, Letta – pur con un piede, già oltre l’uscio del Nazareno – si è detto soddisfatto perché «l’opa lanciato sul Pd è fallita e i dem sono «ancora il primo partito dell’opposizione» ovvero del nulla. Contento lui, contenti, tutti!
La verità e che «lorsignori» continuano a non volersi accorgere che ciò che manca in questo Paese, è l’opposizione ovvero loro. Che proprio non riescono a capire che politica non significa demonizzazione costante e continua dell’avversario, bensì confronto magari duro, ma leale nell’interesse del Paese. In mancanza di questo, non ricevendo risposte dalla politica e non sentendosi rappresentati i cittadini rinunciano a votare.
Il ricatto «case green»
Invece, incuranti dell’ennesima lezione ricevuta dalle urne, come sempre «tutti insieme appassionatamente» (Pd, 5S, Verdi) hanno detto «sì» al ricatto «case green» edilizio dell’Ue – che non tiene in alcun conto la particolarità e il valore storico-architettonico degli immobili italiani – contro cui il governo ha votato «no» e Nomisma Energia (pianeta Prodi, tessera numero uno del Pd) ha stroncato. Perché costerà un bel po’ di miliardi, ma impatterà sull’inquinamento ambientale solo per l’1%.
Stop auto a benzine e diesel
Un «sì» ribadito qualche giorno dopo per lo stop alle auto a benzina e diesel e il via libero alle elettriche, e quello a bus e tir. Senza considerare il costo che tutto questo comporterà, mettendo a rischio oltre 2.000 aziende e centinaia di migliaia di posti di lavoro e le risorse indispensabili per l’acquisizione delle materie prime necessarie a costruirle. Nessun delle quali è disponibile nel nostro Paese e per l’installazione delle colonnine elettriche per «ricaricarne» le batterie. di cui le nostre stazioni di servizio sono sprovviste.
Subito dopo è arrivata la sforbiciata dell’80% ai fitosanitari in agricoltura per il 2030, scavalcando il 50% (per l’Italia, guarda caso, il 65%) proposto dalla Commissione. Una forca dalla quale non potevano uscire esenti industria e zootecnia. Tant’è che alle stalle con oltre 150 capi, sono stati imposti gli stessi limiti ambientali e autorizzativi, previsti per le produzioni. Finiranno, quindi, soppressi centinaia di allevamenti. E se facciamo un piccolissimo passo indietro, ci imbattiamo in un’altra eurofollia il «no» a dieta mediterranea, carne, pesce, salumi, formaggi, vino, birra e il si al cibo alternativo, il verme della farina, grillo, insetti e carne e polli sintetici prodotti in laboratorio.
Il superbonus
Di più. La nuova governance della commissione ha deciso che la spesa pubblica annuale può salire al massimo dell’1,6%, ma la nostra sale del 2,5% e poiché il superbonus edilizio (110%) di 5S e Pd, ha sfasciato i conti e prodotto un buco di bilancio di oltre 100 miliardi che l’Eurostat considera deficit, per cui l’Italia ha rischiato il fallimento ed è stato necessario intervenire subito.
Ovviamente, lorsignori, provano a scaricare la colpa sul governo Meloni e fomentando la rabbia, fingendo di non essersi accorti che ancora una volta la realtà si è presa la briga di smontare le loro bugie con Confindustria che conferma nel primo trimestre 2023 il Pil italiano continuerà a crescere dello 0,6% e la rescissione se ne starà ben lontana dall’Italia.
Chi pagherà tutto questo? C’è da dirlo? Soprattutto l’Italia, che rischia di subire la stessa sorte del Sud diventato – all’indomani della finta unità – colonia e trasformarsi da «Paese fondatore» a «dependance» dell’Europa. Le premesse purtroppo, sembrano esserci tutte. A cominciare dalla subdola connivenza della sinistra con la von der Leyen e la commissione Ue. Per evitarlo non ci resta che sperare che Meloni riesca a completare il percorso per la definizione di un asse di centrodestra anche in Europa.
Unica strada per fermare la deriva dirigista e follemente green di Bruxelles. Il «no» compatto di Ppe, Ecr, Id, allo stop ai veicoli a benzina – anche se non è servita, per pochi voti, a fermare l’ecofollia – ha dimostrato che la Meloni è già diventata (come ha sostenuto, l’ex governatore di BankItalia e premier Dini) «un leader europeo», per cui, si può fare. In ottica europee 2024.
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