Installata nel Real Albergo dei Poveri poteva lavare contemporaneamente fino 2000 lenzuola
La lavatrice è certamente uno degli elettrodomestici più diffusi dell’era moderna, iconograficamente emblema di modernità ed emancipazione perché più di altri ha contribuito a modificare in maniera sostanziale lo stile di vita, il ruolo e l’immagine della donna nella società moderna; malgrado fortemente contestato dalle correnti femministe, che non riconoscevano in questo cambiamento una vera evoluzione nel ruolo sociale della donna, in quanto secondo molte di loro, essere ancora relegato al solito stereotipo di «collaboratrice della famiglia», l’affermazione della lavatrice su scala planetaria rappresentò senza dubbio il primo tassello verso un lento ed inesorabile cambiamento sociale.
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La sua propagazione è cresciuta tanto massicciamente durante gli anni del boom economico al punto da portare l’Italia sul podio dei maggiori produttori europei di elettrodomestici subito dopo la Germania e di poco innanzi alla Polonia. L’Italia è attualmente leader indiscussa del settore per innovazione, qualità e design, con un livello di occupazione di oltre 36mila addetti. Secondo i dati di Applia Italia, nel 2021 la produzione di elettrodomestici è cresciuta quasi del 19%.
L’invenzione della moderna lavatrice ha avuto uno genesi molto lunga; le prime ‘apparizioni’ di un macchinario che aiutava a fare il bucato risalgono addirittura alla fine del 1600, e negli anni, diversi progettisti e inventori hanno contribuito ad aggiungere importanti tasselli per quello che diventerà uno degli elettrodomestici più comuni.
L’industriale Luigi Armingaud e la prima lavatrice
Già il 28 marzo 1797 Nathaniel Briggs, americano del New Hampshire, depositò il brevetto di un macchinario che potrebbe essere visto come antesignano della lavatrice, mentre prima di lui fu Jacob Christian Schäffern nel 1767 a realizzare un apparecchio con una rudimentale centrifuga azionata a mano per il lavaggio del bucato; ma la vera rivoluzione la dobbiamo all’ingegno italico, ed in particolare a quello Napoletano.
Fu proprio una mente illuminata dell’allora Regno Duo Siciliano a realizzare e brevettare la prima lavatrice a motore, che di fatto corrisponde per funzionamento e meccanica a quella odierna. Questa invenzione nasce poco prima del 1851 dall’idea dell’industriale Luigi Armingaud già produttore di motori e turbine a vapore che pensò bene di applicare questa tecnologia ad «un apparato capace di far bucato producendo acqua calda e dotata di cestello azionato da una centrifuga».
Trattare il bucato era infatti un’attività particolarmente lunga e faticosa, soprattutto all’interno delle grandi strutture sociali come convitti, ospedali ed orfanotrofi. Mentre nelle famiglie, per tradizione, esisteva una organizzazione interna assai efficiente che svolgeva l’attività di lavare e «sciorinare» il bucato, lo stesso non si poteva dire per le grandi strutture pubbliche, che erano costrette ad assoldare con gran difficoltà un ingente numero di lavandaie chiamate a svolgere le attività di trattamento del bucato.
Fu così che il Signor Armingaud pensò di risolvere la questione installando un motore a vapore che era in grado di azionare mediante una puleggia la centrifuga posta all’interno di una struttura lignea nella quale era presente un cestello che, opportunamente movimentato permetteva lo sfregamento dei capi; contemporaneamente il calore prodotto dalla turbina a vapore andava a riscaldare l’acqua precedentemente «saponata» con la così detta lisciva ricavata dalla cenere di carbone prima ancora dell’introduzione del classico «sapone di piazza»; i capi risultavano così essere lavati, profumati e disinfettati utilizzando acqua bollente.
L’installazione nel Real Albergo dei poveri
Prima di allora il lavaggio della biancheria avveniva manualmente in tinozze di legno o in aree cittadine dotate di canali alimentati da acqua dove le lavandaie usavano portare il bucato da lavare. Quella napoletana è stata considerata la prima lavatrice dell’era «moderna», forse la prima in Europa a funzionare con un motore capace di autoprodurre acqua calda.
L’installazione avvenne nel 1851 presso il Real Albergo dei poveri ed era in grado di lavare contemporaneamente oltre 2mila lenzuola, mentre una seconda venne impiantata poco dopo nell’allora asilo di Santa Maria della Vita al quartiere Sanità ed aveva una capacità di lavaggio di mille camice.
Quanto detto è egregiamente documentato all’interno del registro degli Archivi di Stato di Napoli (Disamina eseguita dal Reale Istituto d’Incoraggiamento de’ saggi esposti nella solenne mostra industriale del 30 maggio 1853, Napoli, 1855).
Esso indica quanto segue: «l’apparecchio da far bucato già da molto tempo occupava la mente de’ tecnici perché considerevole è la mano d’opera, grande il tempo e la spesa richiesta, specialmente nelle pie case di pubblica beneficenza per la nettezza e la conservazione della biancheria. L’apparato del Signor Armingaud si compone di una caldaja, prima per la produzione del vapore; di grandi recipienti che sono a’ suoi lati, dove va riposta la biancheria, quindi vi sono chiavi per l’immissione del ranno, altre per rendere indipendente l’uso dell’un recipiente dall’altro, e via innanzi. Uno di tali apparati è in pratica son già due anni nel real Alberdo de’ Poveri per 2.000 lenzuole, ed un altro se n’è piantato nell’asilo di S. Maria della Vita e serve per 1.000 camice».
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