Fini tutt’al più potrà fare da «passaparola»
La penultima esperienza di portata istituzionale di Gianfranco Fini fu quella che lo vide Ministro degli Affari Esteri nel governo Berlusconi tra il 2004 al 2006. Acquisì quel patrimonio di relazioni, umane ed istituzionali, che servono per essere sempre e comunque ben informato su ciò che accade nei ruoli nazionali ed internazionali che contano.
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Successivamente il decorso della sua personalità politica lo vide ancora mediaticamente protagonista con la costituita formazione politica di Futuro e Libertà. Così si spense il suo attivismo militante. Fu l’epilogo di un percorso esistenziale e politico che lo videro portare mestamente a termine la sua dimensione pubblica.
Per anni non lo si è scorto più sulla scena vivida dei protagonisti, non ha scritto libri di memorie, né ha dato luogo a pensatoi con cui elaborare tesi, analisi o prese di posizione su come declinare l’attualità o la versione futuribile di una aggiornata progettualità per la comunità nazionale.
Oggi invece d’improvviso viene riscoperto da Lucia Annunziata che nel giro di due mesi lo invita per ben due volte nella sua trasmissione domenicale «mezz’ora in+» su Rai Tre. In queste occasioni Fini dà prova di capacità di analisi sulla destra e sull’esperienza governativa di Giorgia Meloni. Lo fa in punta di piedi, senza prendersi meriti per una destra che, anche attraverso lui e la sua semina nel corso degli anni, è divenuta forza-cardine in un governo politico dopo circa dieci anni di governi tecnici. Fini, in queste occasioni televisive, dimostra umiltà, profondità di vedute e soprattutto grande distacco rispetto alla cronaca politica.
Gianfranco Fini, un ambasciatore o uno «spiegone»
Sembra tutto concentrato a dire quanto «potente» ed «efficace» sia un leader donna che si sia dimostrata capace di affermare – con la sua determinazione e col suo impegno nello studiare dinamiche storiche e vicende di dialettica istituzionale – la sua presenza nella storia della Repubblica Italiana. Ecco che Fini si mostra, in questa maniera, quasi come un ambasciatore o uno «spiegone» di mettere in luce, con sagacia e prudenza, qualità e limiti di una destra che, nella versione meloniana, cerca di coniugare Nordio e Berlusconi, Lega e riforme costituzionali, giustizia e libertà, scuola e formazione, solidarietà nei riguardi dei ceti più deboli e tutela dei professionisti.
In questo contesto emerge una forte tendenza a non strafare, ad essere pragmatica, a evidenziare criticità in una Europa che, nelle sue relazioni istituzionali, deve ritrovare una maggiore autonomia e una forte tendenza a negoziare sulle scelte complessive della politica senza dipendere troppo da un sistema finanziario fatto di speculazioni e di parole in libertà di una Lagarde che piega la politica ed i popoli tra green-economy e tassi d’interesse tendenti a creare una stagflazione sotto il dominio bancario.
In questo clima la Meloni trova una prova improba sulla stagflazione – costituita dall’unione delle parole «stagnazione» e «inflazione» – che evoca una crisi senza sbocchi plausibili ed in cui si vive una fase economica in cui si assiste a una crescita dei prezzi e, allo stesso tempo, a una decrescita o stasi dell’economia.
Di fronte a ciò Gianfranco Fini, per la governabilità di una destra pragmatica ed aggiornata, può rappresentare, nel suo ruolo di neo-comunicatore, quello che porta chiarezza, non certo da candidato o candidabile a qualcosa, e che mette ordine nella percezione di una politica che deve essere compresa nella fascia media della società, ovvero di quella porzione che fornisce linfa, con i passa-parola, ad una opinione pubblica che appare per lo più indifferente o frastornata. Questo può essere Fini nulla di più e nulla di meno.
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