Veneziani e la sua scontentezza che… «è sfuggita di mano e si è fatta malcontento»

A lungo il potere ha puntato sulla rassegnazione poi è passato a veicolare l’insoddisfazione permanente

L’ultima operativa filosofica di Marcello Veneziani si concentra e riferisce sullo stato mentale degli scontenti e sul perché essi rappresentino un segmento abbastanza corposo della società. Questo è il tratto evidente di una condizione e di un atteggiamento, come afferma Veneziani, in cui «Non è la rabbia né l’odio e nemmeno il narcisismo, come invece si sente ripetere, la molla che spinge verso un atteggiamento negativo e ribelle, ma qualcosa di più profondo che li precede. Si tratta di uno stato d’animo personale ed epocale, che solo dopo muta in protesta e in rancore: la scontentezza. A lungo il potere ha puntato sulla rassegnazione, sull’accontentarsi delle persone. Poi è passato a veicolare l’insoddisfazione permanente, la voglia di essere, fare e avere altro, per asservirci tramite i consumi e renderci dipendenti. Ma la scontentezza è sfuggita di mano e si è fatta malcontento…»

In linea di massima concordo con la filosofia della scontentezza, secondo la quale una sorta di inquietudine deve o dovrebbe spingere ciascuno verso nuove prospettive. Tuttavia secondo questa versione, ma in tutto questo, se dovessimo tradurre il concetto in qualcosa di praticabile, non c’è molto della prudenza politica e del cd. realismo necessario.

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Insomma è un approdo che si può riflettere nello specchio di una crisi esistenziale all’insegna di un anti/gattopardismo laddove si afferma che «In Sicilia non importa far male o far bene: il peccato che noi siciliani non perdoniamo mai è semplicemente quello di ‘fare’». Seppur veritiero tutto ciò appare difficile da tradurre politicamente.

È un’idea affascinante da anime belle che, se diffusa, potrebbe servire per l’innamoramento ma non per l’amore, per rendere carismatico l’approccio ed affascinare tanto e senza limiti: pura poesia.

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In questo senso si vuole che il fascino si moltiplichi improduttivamente? Si vuole che accada per il solo piacere di catturare le simpatie? Ovvero per essere tutti preda di una vertigine? Questa mi pare realisticamente la prospettiva di un mondo supino ed in disfacimento, in cui si sprecano risorse e si coniano utopie seppur fantasiosamente mirabili.

Ma l’azione politica con un indirizzo chiaro ha bisogno di altro: agire per realizzare un immaginario costituito da situazioni in cui la guerra sia contenuta, in cui lo scontro viene assorbito da una negoziazione nobile ed in cui la libertà, di pensiero ed utile in grado di assaporare bellezza, sia momento di consapevolezza, di armonizzazione di conflitti e soprattutto che sia l’occasione per mettere alla prova l’intelligenza conducente a realizzazioni.

Insomma ciò può avvenire solo in una visione comunitaria e non solo vuota ed astrattamente contemplativa.
Di fronte a questo stato mentale Veneziani, nel suo libro «Scontenti» edito da Marsilio, cerca di ergere un monumento esistenziale a chi sta all’opposizione del mondo, a chi ispira una ribellione permanente al pensiero dominante: quello che cerca di vigilare e controllare sulla libertà dei singoli cittadini che costituiscono le comunità con corpo ed anima, con un immaginario trafitto da mille paure, che si vivono dai tempi del ‘maramaldo’ Covid-19 e che spingono inesorabilmente verso riforme drastiche e non ben orientate, se non forzosamente. Siccome la scontentezza se non è traducibile rimane mera lagnanza, verso diverso di una depressione che sconfina in un malessere diffuso di una malinconia che non risulta essere di quel genere poetico.

Ebbene, così, come dice Marcello Veneziani, se «Ci fu l’epoca dei rivoluzionari, ci fu il tempo dei ribelli. Questa è l’età degli scontenti. Siamo scontenti della vita che facciamo e di noi stessi. Il potere ci vuole insoddisfatti, per generare desideri e dipendenza. Ma qualcosa non è andato come previsto».

Da qui si giunge al corto-circuito nel quale la speranza che si può coltivare è quella triste di poter finire muniti di una interiorità poeticamente ribelle, ma certamente succube di un’estetica un pò da cittadino che vaga ozioso e un po’ appassito.

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