Prima di essere Benedetto XVI, era prete umile e gentile di una Chiesa che non riusciva più a declinare i sacri comandamenti
Muore un ragionatore della fede. Colui che, assurto al ruolo più alto della Chiesa Cattolica, ha inteso persuadere i fedeli con metodo filosofico, con lo strumento che accompagna la mente dentro un mondo di spiritualità, capace di interloquire sia con i cristiani, sia con cattolici diversamente credenti che con atei.
Joseph Ratzinger prima di essere Benedetto XVI, era prete umile e gentile di una chiesa che aveva, per tante ragioni, smarrito la strada, e che scopre la finitezza anche della Chiesa. Ossia percependo l’impotenza di quella strada, in via di percorrenza, della fede perché comprendeva come quella Chiesa non riusciva più a declinare pietosamente e convintamente i sacri comandamenti.
Perché quella stessa Chiesa non riusciva più a parlare la lingua della comprensione, del coinvolgimento, della sacralità che cammina nella semplicità con i convincimenti religiosi e con l’umanesimo che scandaglia le intime debolezze e tende a rafforzare il credo attraversando la fede.
Ma tutto ciò, nel nitore dell’evidenza del vivere, poggia sulla consapevolezza e qui Ratzinger trafigge le menti dischiuse all’ascolto delle sue parole, con ulteriore chiarezza quando esprime che «È palese che i nostri principi con coincidono più con quelli della cultura moderna, che la struttura cristiana non è più determinante: Oggi prevale una cultura positivista e agnostica che si mostra sempre più intollerante verso il cristianesimo».
Qui si scorge il limite di un mondo che vuole imporsi con il relativismo, consentendo a tutti il nulla osta dell’opinabilità delle idee e dei valori, di fronte ad una Chiesa inane e soprattutto con la volontà di imporre una sorta di laicismo senza fedi.
Benedetto XVI, il Papa della ragione
Anche i laici, però, quelli autenticamente consapevoli, come Odifreddi o Giorello o Flores D’Arcais, tra cultura laica e ateismo hanno sempre voluto confrontarsi col Papa della ragione, ossia quello che nella fede comprende l’evidenza critica con cui contrapporsi al relativismo e soprattutto individuando quale «strumento spirituale» il dubbio.
Da esso, difatti, si dipartono e si impiantano le ragioni della ricerca intima, quella che avvolge il sentimento interiore di verità e di coscienza, laddove si approda o si tende a farlo attraverso il superamento della dimensione esteriore, come dice Mario Tronti e dare vita ad un pensiero ulteriore su cui interrogarsi, partendo da Ratzinger: «Un Papa conservatore?»
Dovremmo tutti imparare a non sbeffeggiare questa parola. In un mondo e in un tempo in cui si portano i valori al mercato e si vendono come prodotti a scadenza ravvicinata, evocare valori non negoziabili serve a contrastare questa deriva. Conservare il meglio del passato diventa allora un atto di rinnovamento. «Superare conservando» ci ha insegnato una volta per tutte il vecchio Hegel, dai cui rami tutti discendiamo. Dico sempre ai miei compagni, che inutilmente si chiamano progressisti: studiate la complexio oppositorum, che la forma politica del cattolicesimo romano ha elaborato e sperimentato in secoli di presenza nella storia umana».
Confronto tra cultura laica e religiosa
Ebbene da questo confronto tra cultura laica e religiosa si scorge lo iato insondabile tra fenomeno umano e fondamento cristiano, ossia tra vita e coltivazione di una dimensione spirituale. Ecco che Papa Ratzinger, attraverso la forza della verità, ha avviato la coscienza della Chiesa verso un percorso nuovo ossia quello che dalla consapevolezza possa passare ad un livello più alto, in cui il dialogo tra uomini e visioni possa condurre dallo sconosciuto Dio alla conoscenza di Dio.
E da lì accompagnare ciascuno alla scelta razionale se essere arricchito di una propria spiritualità che può sorreggerci fino all’ultimo dei nostri giorni o privato col senso di potenza dell’uomo-infinito ovvero vivendo senza alcuna fine ovvero imporsi come supremo. Così con i tanti dubbi Papa Ratzinger, nel suo discorso di Ratisbona, afferma e richiama tutti a concordare che «anche di fronte a uno scetticismo radicale resta necessario e ragionevole interrogarsi su Dio per mezzo della ragione». Da qui bisogna partire per continuare ad interrogarsi.
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