Caso D’Onofrio, i giudici lo autorizzarono a partecipare alle riunioni Aia

di Redazione

L’ex procuratore federale arrestato in flagranza per aver trasportato 44 kg di marijuana

Aveva saltato la riunione all’Associazione italiana arbitri del 17 giugno 2021, perché i giudici gli avevano negato la possibilità di andarci e rischiava così, come evidenziato dai suoi legali, di vedersi revocare l’incarico. Per quattro riunioni, tra il 24 giugno e il 22 luglio dello stesso anno, però, ha ottenuto il permesso «ad assentarsi dal luogo di detenzione domiciliare» e raggiungere l’Aia.

Sono dettagli che emergono dagli atti della Corte d’Appello di Milano e che riguardano Rosario D’Onofrio, l’ormai noto ex procuratore arbitrale che era già stato arrestato nel maggio 2020 e poi finito di nuovo in carcere giovedì scorso in un’inchiesta della Dda milanese per narcotraffico. Il 21 giugno 2021, la quinta penale della Corte d’Appello diede l’ok a D’Onofrio, arrestato in flagranza per aver trasportato 44 kg di marijuana e condannato a 2 anni e 8 mesi, a «partecipare» alle quattro riunioni a Roma, «per il tempo strettamente necessario». Nella richiesta la difesa faceva presente che l’11 marzo il «Comitato nazionale Aia» lo aveva nominato «procuratore per la sezione Aia di Cinisello Balsamo».

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E che già tra aprile e maggio i giudici gli avevano concesso di presenziare ad alcune riunioni. Anche perché il suo nucleo familiare poteva così contare su quei «360 euro mensili» come rimborso per l’incarico e perché gli «operatori sanitari» che lo seguivano auspicavano che svolgesse questa «attività lavorativa». A giugno 2021, però, la Corte ha negato il via libera per la presenza alle successive riunioni e D’Onofrio non è potuto andare a quella del 17.

Tanto che la difesa ha fatto presente ai giudici che in una nota emessa il 16 giugno «dal segretario nazionale Aia Gaetano Rutigliano» si diceva che se si fossero registrate «ulteriori assenze esse potrebbero condurre alla revoca dell’incarico». E sempre la difesa ha spiegato ai giudici che se non fosse più stato autorizzato avrebbe dovuto «rassegnare le proprie dimissioni». La Corte, a seguito dell’istanza, ha dato ‘semaforo verde’ e D’Onofrio è potuto tornare alla sede dell’Aia per le quattro riunioni.

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