Lettera di Eugenio Preta, già segretario generale del partito trasnazionale AEN e vicesegretario del gruppo Unione per l’Europa delle Nazioni all’Euro Parlamento
Un mare scintillante al sole del mattino come tratto azzurro su bianco foglio di quaderno divide due lembi di terra tanto differenti eppure tanto uguali. Osservare la Sicilia dal continente dà una sensazione speciale: di qua macchia mediterranea giustificata dall’arretratezza economica, di là cemento come artigli che graffiano colline una volta rigogliose e verdi. Messina dall’acqua è città lunga, intervallata da località dai nomi che preannunziano il divino: paradiso, pace, contemplazione.
Oggi quelle spoglie colline riportano alla mente piuttosto la crocefissione di Antonello da Messina, in quel sudario che potrebbe diventare lo stretto passaggio della distruzione. Messina oggi città sembra arrampicarsi sui peloritani, sfaldare la terra, appiattirsi verso il lido per sacrificare alla modernità le sue spiagge dalle sabbie candide, quei luoghi della fera, ma anche il luntro e colapesce alla costruzione di un manufatto per l’attraversamento dell’illimite Peloro, mare nostro, mare grande, mare di portenti.
Ponendoci dal mare immaginiamo lo scempio che ferro e cemento farebbero dei vortici di scillaecariddi, di feluche e dei pesciluna solo per portare alla base di questo ipotetico ponte strade, ferrovie e autostrade che però non esistono un ponte collega servizi, gente, mercati: ma quali servizi se a Messina non esistono nemmeno i marciapiedi, le strade sono ridiventate strette, dimezzate dalla costruzione di un tram cittadino di pochi chilometri e la sola mercanzia che avrebbe potuto essere scambiata sono gli agrumi che restano però a marcire sugli alberi. Quel ponte riuscirebbe a trasferire da sud al nord certamente ignoranza, maleducazione arroganza, ma ne riceverebbe certamente altrettanto: è la modernità.
I grandi bastimenti sono ormai scomparsi da quel tratto di mare, hanno lasciato posto alle mastodontiche e sgraziate navi di crociera per sostituire alla qualità la quantità di un consumismo sfrenato. Bastimenti che riversano nelle strade cittadine folle di novelli bottego, umanità che si illude di esplorazioni quando deve districarsi tra auto parcheggiate in triplice fila, motorini al decibel elevato a potenza, e nuovi messinesi dai nomi filippini, senegalesi o romeni.
Una volta c’erano i poeti e quelli almeno descrivevano una realtà che i giornali oggi stravolgono ed edulcorano pilotando gusti e gradimenti; ora quei poeti sono scimuniti, perduti nel botto della modernità,tacciono e non ci raccontano più dei muri a secco, della fatica di partire, della vergogna di restare siciliani. Messina era città di cultura, l’Accademia della Scocca, l’Ospe, Pugliatti, Quasimodo, Palumbo, Migneco, Consolo e i fratelli Piccolo. Ora che siamo stati livellati sugli standard degli imbelli, accettiamo questa classe politica sempre pronta a lanciare accuse, a richiedere di poter ricominciare, dimenticando pero’ le sue proprie responsabilità.
Un ponte, avevamo esordito condannando il siciliano che si illude di una costruzione che per oltre dieci anni porterà su un territorio che sembra non averne proprio bisogno, criminalità, spartizioni mafiose, ricatti, cottimisti e affaristi del nord un ponte che non può risolvere i problemi del degrado urbano, della disoccupazione, della sudditanza alle aziende del nord, un ponte che non implica strade, continuamente in rifacimento, ferrovie, obsolete, sporche e in perenne ritardo.
Un ponte che non può riflettere la nostra terra, come non riflette più Capo Peloro le falene della notte come non è storia di Sicilia quella d’Italia con il suo risorgimento, ma è storia di Sicilia la sua occupazione militare di un territorio iniziato dal bandito Garibaldi e continuato con le rapine dell’Iri, della Fiat,dell-Eni e delle prefetture governative. Un ponte che sarebbe un contronatura rispetto alle magie dello stretto, a Colapesce, alla Fatamorgana della memoria, allo Scilla e Cariddi del ricordo; un ponte alla fine che, ripetendo le offese della storia, sarebbero anche capaci, i siciliani, di volerlo chiamare, ponte Garibaldi.