La storia deve essere oggetto di studio ed approfondimenti, altrimenti diviene un «armageddon»
La puntata di «Mezz’ora in più» di domenica 30 ottobre di Lucia Annunziata su Rai3 ha visto protagonista un redivivo Gianfranco Fini, che in maniera elegante ha precisato, in un’analisi puntuale, quanto la Meloni si ponga sul solco di AN nella sua invenzione strategica di Fiuggi. Ovviamente i tempi diversi, le modalità in uso ed il linguaggio modificato aprono una china interpretativa che rendono i due leader e i due momenti storici del tutto diversi sia per caratteri, che per politiche.
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Fini ha tracciato, attraverso il suo dire, qualcosa che può fornire spunto per una riflessione sulla destra in Italia e di cosa possa essere, ancora oggi, in un quadro che vede gli opinionmakers attardarsi in analisi in cui si realizza una commistione alquanto artefatta da storia e politica. Ancora oggi il dibattito di giornata si sofferma sul 25 aprile, ben 6 mesi prima della data della cosiddetta liberazione.
Ovviamente fino a quando la confusione alberga in questo tipo di discussione pubblica il retaggio stantio che ci si porta addosso è ricco di fraintendimenti e le derivate argomentazioni sono sprovviste di dati oggettivi e rischiano di riproporre solo strumentalizzazioni che mischiano propaganda a scarsa oggettività. Di certo Fini ha dato una bella prova di sé con analisi che tendono a superare lo status quo per ovviare ad un discorso che non sembra avere una immaginazione dal respiro lungo ovvero quello di uscire dopo 80 anni dal permanente clima da guerra civile.
La potenza immaginativa
In soccorso a tale analisi sovviene la potenza immaginativa e la ricerca approfondita dell’uomo che ha la possibilità di impreziosire lo stare assieme con l’idea, matura e civile, che non si possa più parlare della storia di un popolo senza riuscire a farne venire fuori la contrapposizione storica tra fascismo ed antifascismo. Ne consegue che ad onore di verità e di logica se su la Costituzione si giura tutti non si può venire a dire, ancor oggi, che bisogna avere una patente di pulizia intellettuale, ovvero una sorta di illibatezza ideologica se non si parla fino in fondo del comunismo e delle sue vittime.
Ma questa necessità non deve condurre ad una sorta di relativismo innocentista, ma deve rendersi utile solo per comprendere le vicende di una storia comune che appartiene a tutto un popolo ed alla sua anima. Su siffatti argomenti non si può cedere ad una deriva, altrettanto ideologica ed altrettanto posticcia, che vorrebbe un approdo finale e definitivo secondo cui solo quando una commissione costituita da giudici della storia (una sorta di Politburo intellettuale) sia chiamata a dare, con tutti gli argomenti utili e doviziosi, la tangibile verità per la quale tutti gli italiani, seppur politicamente, abbiano uguali diritti per poter professare una idea politica da ritenersi legittima solo nella possibilità di declinare i valori all’insegna della libertà di espressione da riconoscersi a tutti.
In tal modo si può avviare un percorso per un verso ambizioso per quanti, sino ad oggi, provano a declinare le analisi attraverso il filtro della sinistra ideologica senza mai porsi il limite di considerare ed includere la parola fine a questo viatico, fatto di sterile contrasto, fin troppo strumentale, fino al punto da assecondare logiche da «probatio diabolica», per apparire autenticamente liberatorio.
Le contrapposizioni storiche
Sicchè gli interpreti di sinistra ove volessero mantenere in vita, attraverso una vulgata ben orientata così come sono riusciti a fare fin’adesso, a rinfocolare le contrapposizioni storiche per intenti politici e soprattutto a non fare mai chiarezza al gioco di parole tra le nebbie dei linguaggi furbi ed incomprensibili che mirano permanentemente ad escludere l’ipotesi di una pacificazione storica tra tutti.
In questi ultimi giorni tra un’intervista di Gianfranco Fini dalla Annunziata ed una del Presidente del Senato La Russa a «La Stampa» si è avuto modo di toccare per l’ennesima volta il tema, esprimendo punti fermi per poter giungere ad una tappa definitiva.
Oggi, checché se ne possa artificiosamente pensare, il fascismo non c’è più ed i valori di libertà e di democrazia trovano caratteri ed elementi che non possono essere contraddetti dalla strumentale necessità di vivere l’attuale scorcio di una crisi storica nella quale la tecnica ed il potere rischiano di non potersi più coniugare con i termini di partecipazione e di condivisione, di libertà e tolleranza, di riconoscimento dell’altro attraverso il manifestarsi del sè.
Oggi la storia senza parentesi deve essere oggetto di studio ed approfondimenti, altrimenti diviene un «armageddon» senza ragione d’essere e senza prospettiva alcuna. Ben altra cosa è la politica, che vive di dialettica e non può nutrirsi di apocalittiche visioni.