Se la sinistra è arrogante anche sulla sponda destra c’è chi fa di tutto per meritarsi ondate di sana antipatia
Correva l’anno 2005 quando fu pubblicato un libro che non mancò di lasciare il segno nel mondo politico e tra gli appassionati di politica. Il titolo è tutt’ora di estrema attualità: Perché siamo antipatici. La sinistra e il complesso dei migliori. L’autore è Luca Ricolfi, docente universitario con una pluralità di interessi e con una notevole produzione di opere scientifiche e divulgative. In origine si definiva di sinistra, ma col tempo si è mostrato via via più critico verso quell’ambiente di provenienza che era divenuto fonte di antipatia persino per i suoi stessi simpatizzanti.
A distanza di così tanti anni, oggi si può dire che la carica di antipatia della sinistra è andata ben oltre i vecchi confini, fino a tramutarsi in autentica fonte di orticaria. Le vecchie osservazioni di Ricolfi non solo sono sempre valide, ma se all’epoca potevano apparire quasi eccessive oggi trovano piena conferma in ogni dichiarazione di qualsiasi personaggio si collochi a sinistra nel panorama politico italiano.
La pretesa superiorità morale rende supponenti e sicuri di stare dalla parte giusta, di essere i migliori. L’uso e abuso del politicamente corretto trasforma il linguaggio in un esercizio di ipocrisia che distorce e snatura la realtà. La distanza dal mondo della gente comune diventa quasi un vezzo, un atteggiamento di insopportabile ostentazione che non può tradursi se non in un moto di antipatia che ha esposto la sinistra a reiterate sconfitte elettorali.
Letta e l’effetto antipatia
Enrico Letta, segretario del Pd, ma soprattutto Commendatore della Legion d’onore, massima onorificenza per chi ha ben meritato verso la Repubblica francese, nonché elargitore di patenti di legittimità democratica, si è dimostrato il migliore interprete dell’effetto antipatia anche prima e dopo le elezioni dello scorso 25 settembre.
Prima, ha presentato la Meloni e Salvini come soggetti poco affidabili e pericolosi per la UE (intoccabile tabù) perché vicini ad Orban, guarda caso Presidente dell’Ungheria regolarmente eletto dal suo popolo, un popolo che ovviamente ha dimostrato di non saper votare: il voto giusto è solo quello dato alla sinistra.
Dopo la sconfitta, l’elezione dei presidenti di Camera e Senato, rigorosamente distanti dalla sinistra, lo ha fatto gridare all’uso di «una logica incendiaria» che si è tradotta in uno «sfregio» per l’Italia. Come il popolo ungherese, pure il popolo italiano ha sbagliato a votare e con esso anche il proprio parlamento perché la democrazia può funzionare solo se si svolta a sinistra.
Ma si può governare anche perdendo le elezioni ed è questa una specialità della sinistra italiana che, respinta dagli elettori, riesce ad entrare nella stanza dei bottoni introducendosi dalla finestra anziché dall’ingresso principale. Il gioco è riuscito più volte e la speranza che si ripeta anche oggi scalda i cuori di parecchi sconfitti. La speranza è ultima a morire. Del resto, se la sinistra è arrogante e supponente, come descritta da Ricolfi, anche sulla sponda destra c’è chi fa di tutto per meritarsi ondate di sana antipatia facendo concorrenza al club dei «migliori».
Riecco la paura di tornare al voto
La vittoria del centrodestra è risultata schiacciante e avrebbe fatto sperare in un percorso lineare e tranquillo verso la formazione di un nuovo governo finalmente frutto di un voto popolare e non di accordi innaturali e necessitati dalla paura dei parlamentari, del tutto umana ma sterile, di tornare a votare prima del tempo.
Già dalla elezione del Presidente del Senato la maggioranza uscita dalle urne si è trovata a fare i conti con i mal di pancia del capo di Forza Italia determinato a trovare un posto al sole per la sua fedelissima senatrice, tale Licia Ronzulli aspirante statista, sicuramente fornita di doti non comuni e ai più sconosciute.
Ignazio La Russa è stato eletto anche senza i voti di FI grazie ad una sorta di «soccorso rosso» che ancora rimane un mistero, ma costituisce un precedente allarmante per la coalizione di centrodestra avendo più il sapore di una polpetta avvelenata che di un particolare riconoscimento dei meriti del nuovo Presidente del Senato.
Ha fatto ancora peggio il «pizzino» di Berlusconi, brutalmente critico nei confronti di Giorgia Meloni ed esposto ben in vista per la gioia di fotografi e telecamere, che però ha guastato l’umore di parecchi senatori, a destra e a sinistra, con diversa lettura di un «tradimento» bipartisan, dal momento che il Presidente del Senato è stato eletto senza i voti di chi avrebbe dovuto votarlo e con i voti non dovuti di alcuni soccorritori della coalizione perdente.
Le fibrillazioni del centrodestra, inevitabilmente, si sono trasferite agli accordi sulle nomine dei ministri, proiettandosi sulla futura attività del governo, che dovrà inseguire gli umori e i malumori di un Berlusconi che non si è mai rassegnato alla perdita della guida della coalizione del centrodestra, non senza qualche ragione considerata una sua creatura partorita con l’avvento di uno zoppicante bipolarismo agli inizi degli anni novanta del secolo scorso.
Il guastatore di turno
Georgia Meloni, azionista di maggioranza del centrodestra, con il suo esercito di parlamentari, che ha una consistenza superiore rispetto alle truppe di Lega e Forza Italia messi insieme, si ritiene «non ricattabile» da parte di un Berlusconi che va assumendo sempre più le sembianze del guastatore di turno.
Ma tutto ciò non può che alimentare le speranze della sinistra e sgomentare l’elettorato di centrodestra, che finalmente avrebbe voluto vedere i suoi rappresentanti determinati a governare con efficacia per fare dimenticare il tempo dei governi tecnici e delle ammucchiate. È più che naturale, quindi, che già cominci a serpeggiare un certo moto di antipatia.
Forse occorrerà un Ricolfi che ci spieghi come anche a destra arroganza, supponenza e presunzione possano guastare la reputazione di chi, pur non rivendicando una superiorità morale, rischia di riuscire altrettanto antipatico come a sinistra.
Nuccio Carrara
Già deputato e sottosegretario
alle riforme istituzionali