La Commissione esecutiva appare talmente autonoma che, alla fine, rimane abile a bloccare ogni ribellione
La vittoria in Italia della coalizione delle destre guidata da Giorgia Meloni agita un vento nuovo sull’Europa. Dopo il successo dei democratici di Svezia e dell’alleanza conservatrice di Ulf Kristersson, due nuovi Stati Nazione, la Svezia e l’Italia, si aggiungono alla Polonia e all’Ungheria per formare un quartetto di destra su posizioni prettamente conservatrici, lasciando prefigurare uno spostamento a destra dell’Unione europea.
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Sarà effettivamente una svolta epocale con l’archiviazione definitiva del verbo progressista europeo o più realisticamente una semplice parentesi conservatrice ristretta a pochi Paesi membri?
Piuttosto contro l’immigrazione selvaggia, sicuramente contro il verbo federale imperante, europeisti non scettici ma realisti, i governi ungheresi, polacchi, svedese e italiano si presentano come delle ridotte nazionali contro i progetti von der Leyen & associati che sognano tutti un’Unione europea più giusta e più accogliente. Ma con regole che piacciono soltanto a loro e penalizzano tutti gli altri.
In verità, il gruppo dei Paesi di Visegrad (Polonia, Ungheria, Repubblica Ceca e Slovacchia) già dal 2015 si sono opposti al programma europeo sull’immigrazione che consiste nell’imporre l’accoglienza di immigrati secondo un sistema di quote ripartite tra gli Stati Membri.
Bruxelles, Budapest e Varsavia
Da allora le relazioni tra Bruxelles, Budapest e Varsavia si sono particolarmente surriscaldate tanto che la von der Leyen, facendo una pietosa marcia indietro rispetto a quanto aveva dichiarato intervenendo negli affari interni di uno Stato membro a proposito delle elezioni italiane, aveva poi riaffermato di disporre di strumenti utili per correggere le eventuali derive di paesi come l’Ungheria e la Polonia dirette su posizioni contrastanti i valori progressisti perseguiti da Bruxelles (tutti poi ci hanno letto un messaggio subliminale all’Italia visti i sondaggi che davano Giorgia Meloni fortemente favorita nelle elezioni del 25 settembre).
Un effettivo braccio di ferro tra l’Esecutivo nominato e i governi sovrani che potrebbe scavare un solco profondo in seno all’Unione europea, con i paesi progressisti da una parte e quelli conservatori dall’altra. Tutto resta però nel campo dell’irreale.
A detta di osservatori specializzati nelle cose europee, la vittoria della Meloni, se cambia gli schieramenti, non è ancora sufficiente a controbilanciare il funzionamento dell’Unione europea che si avvale essenzialmente di un sistema tecnocratico fondato su un semplice approccio contabile.
Si persegue infatti un’ottica esclusivamente finanziaria quando, come succede in Europa, si interpreta l’arrivo di migranti come un possibile strumento economico, senza preoccuparsi degli stravolgimenti sociali che invece può provocare.
Ma la Commissione ha sempre dimostrato di non tenere in gran conto la volontà dei popoli e se l’arrivo al governo della destra in Italia dovesse minacciare le proposte dell’Esecutivo, questo può sempre contare sui vari meccanismi di finanziamento europeo per imporre il suo ricatto ideologico.
Italia fondatore dell’Ue
Nel caso dell’Italia però, Bruxelles dovrebbe ricordare come il Paese sia fondatore dell’Ue e contributore netto del suo Bilancio, come riceva meno fondi della Spagna o della Francia e come la sua voce sia ben più influente di paesi come la Polonia ad esempio, tra tutti gli Stati Membri, il principale beneficiario dei fondi Europei
La possibilità di vedere però i governi ungherese, polacco, svedese ed italiano fare fronte comune contro la von der Leyen al momento appare molto recondita.
Innanzitutto perché il gruppo di Visegrad sembra essersi ammosciato in seguito alla guerra in Ucraina. (L’Ungheria sostiene posizioni meno ostili alla Russia di quelle polacche o di quelle dei paesi baltici ); poi perché, elemento da ritenere sempre presente, negli ultimi trent’anni la politica europea ha dimostrato l’incapacità delle formazioni conservatrici del Continente di potersi alleare tra di loro e, nonostante la possibile compatibilità ideologica di base, li vede tutt’ora disperse nel Parlamento europeo tra le formazioni del PPE, del CRE, dell’Id, e tra i tanti gruppi di destra esistenti.
Inoltre l’instabilità della politica italiana, oggi forse «medicata» dalla maggioranza rappresentata in Parlamento dalla coalizione vincente, la fragilità della destra polacca e di quella svedese potrebbero limitare l’effettiva portata dell’ondata conservatrice che investe oggi l’Europa.
Una minaccia reale per Bruxelles
Pensare quindi ora all’ipotesi di una nuova Europa conservatrice sembra molto poco realistica. Orban, la destra svedese o la Meloni non costituiscono al momento una minaccia reale per Bruxelles perché le loro politiche rimangono soltanto identitarie e non sovraniste (nessuno di loro, al momento, vuol rimettere in discussione i Trattati costitutivi).
Bisognerà quindi verificare fin dove vorranno spingersi i governi conservatori e come vorrà esprimersi il nuovo arrivato, Fratelli d’Italia, per diradare la nebbia che avvolge il futuro di un’Unione europea dove la Commissione esecutiva appare talmente autonoma che, alla fine, rimane abile a bloccare ogni ribellione e capace di imporre le sue regole.