Salta il tetto agli stipendi dei manager: un emendamento fantasma scatena il caos

di Redazione

Rimpallo di responsabilità tra Partito Democratico e Mef

Tutti sapevano, nessuno sapeva: si chiude con un incidente apparentemente senza colpevoli l’ultima seduta del Senato nella diciottesima legislatura. Oggetto del contendere il tetto agli stipendi dei manager della P.a.

che, di fatto, viene cancellato da un emendamento al decreto aiuti bis approvato in fretta e furia in commissione e passato anche in Aula, sia pure con l’astensione di Fdi, Lega e M5s.

«Non avevamo alternativa a votarlo per evitare che saltasse tutto e saltassero i 17 miliardi di aiuti alle famiglie» si difende Matteo Renzi, che il tetto lo aveva rafforzato nel 2014 a tre anni dalla sua prima introduzione, nel 2011, per mano del governo Monti. La colpa, dice implicitamente il Pd, è del Mef che ha «riformulato» un emendamento presentato in origine da Forza Italia e che, stando ai racconti dei senatori, non era comparso nelle innumerevoli riunioni per trovare l’intesa sulle modifiche da approvare e portare a casa il decreto.

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Con i fari puntati sul Superbonus, insomma, la proposta di sforare il tetto dei 240mila euro per una sfilza di figure di primo piano delle forze dell’ordine, delle forze armate e dei ministeri sarebbe passata in sordina, senza che di fatto nessuno, perlomeno nelle commissioni, fosse pienamente consapevole della portata della misura. Il Mef si chiama fuori, perché avrebbe dato solo un contributo tecnico sulle coperture. E a Palazzo Chigi non è piaciuta per niente la vicenda.

Nessuno si prende la paternità della norma

Nessuno sapeva, è il racconto, e filtra il «disappunto» per una scelta che avrebbe fatto infuriare lo stesso Mario Draghi. Eppure – notano i senatori più navigati – nessuno, di fatto, si vuole prendere la paternità della norma. La formulazione finale dell’emendamento incriminato cancella il tetto anche per il segretario generale di Palazzo Chigi, insieme ai segretari generali e ai capi dipartimento dei ministeri.

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E poi al Capo della polizia, al comandante generale dei Carabinieri, il comandante della Guardia di Finanza, il capo di stato maggiore della Difesa, capi di stato maggiore di forza armata, il comandante del comando operativo di vertice interforze, comandante generale del corpo delle capitanerie di porto.

La norma originaria, a dire il vero, prevedeva una deroga per le sole forze dell’ordine, il comandante dei Carabinieri e della Gdf ed è poi stata estesa, in una serie difficile da ricostruire di riformulazioni, a tutte le altre figure apicali pubbliche. E ora potrebbe anche rimanere lettera morta, visto che anche se rimanesse tale e quale avrebbe bisogno di un provvedimento attuativo – un decreto della presidenza del Consiglio.

Ma a Palazzo Chigi già si studia come bloccare la norma, magari con il decreto aiuti ter, ripristinando per tutti il tetto a 240mila euro, come quello del primo Presidente della Corte di Cassazione. Salvo però gli aumenti contrattuali, come previsto con l’ultima manovra, anche in quel caso non senza polemiche.

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