Ma come farà il «Patto per Napoli» a salvare l’ex capitale borbonica?

di Mimmo Della Corte

Marta Schifone: «La sinistra vuole che siano i napoletani a pagare il buco miliardario che ha prodotto in 30 anni»

La sinistra ha capito che continuare a blaterare di fascismo, elezione diretta del Capo dello Stato come stravolgimento costituzionale, «no» Ue e pregiudizi dei poteri forti per un governo di centrodestra, non funziona più. Tant’è che mentre prosegue il trend positivo del centrodestra, nei sondaggi, dal Forum Ambrosetti da manager e banchieri e perfino dalla Clinton, arriva il «si» alla Meloni premier.

E allora le macchine del fango cambiano spauracchio e denunciano spaccature fra i leader della coalizione: sui migranti, blocco navale o ripristino dei decreti sicurezza e a Napoli sul «patto per Napoli» – firmato fra il premier Mario Draghi e il sindaco Manfredi il 29 marzo scorso, che, a detta di Carfagna, Franceschini e Boccia, «non si tocca perché rappresenta il futuro della città» – che FdI vorrebbe aggiornare alla luce degli eventi mentre Fi e Lega «no», perché «lo abbiamo voluto anche noi».

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In fondo, per sostenere che il centrodestra non riuscirebbe a governare, «tutto fa brodo». Ma forse, per valutare la qualità e la rispondenza alle esigenze del cosiddetto «patto», è meglio riflettere sui numeri che lo connotano, ragionando sulla sostanza anziché sulla patina politica, che nasconde la verità.

Ebbene, mi, e vi chiedo, come si fa a credere, che un accordo tra il Governo e l’Amministrazione comunale partenopea per il quale – «in base a quanto stabilito nell’ultima finanziaria per aiutare i comuni capoluogo delle Città Metropolitane (quindi non solo Napoli) in gravi difficoltà economiche e finanziarie – lo Stato verserà circa 1 miliardo e 300 milioni di euro spalmati in 20 anni (65milioni annui), possa salvare il futuro dell’ex capitale borbonica?

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Patto per Napoli: una goccia d’acqua

Certo, è una somma ingente. Ma è solo una goccia d’acqua, nel mare magnum del debito complessivo da ripianare che a novembre del 2021 ammontava già a 5 miliardi. Quanti altri se ne accumuleranno durante i prossimi 20 anni in attesa che lo Stato mantenga per intero il proprio impegno? Sempre che davvero lo faccia, ovviamente.

Sul che, visti i tempi che corrono, non metterei la firma. Di più, il patto prevede che – sulla scorta del Pnrr – i pagamenti siano collegati al raggiungimento di alcuni obiettivi: aumento dell’Irpef dello 0.1% dal 2023 e di un altro 0,1% dal 2024, nonché l’affidamento della riscossione ad una società specializzata nel recupero crediti. Di conseguenza, alla luce dell’iter procedurale per l’affidamento dell’incarico, per i primi risultati tangibili bisognerà attendere il 2026 (non prima di 4 anni).

Da quel momento si potrà avere – a sentire l’assessore Baretta – una crescita complessiva di 228 milioni di euro di recupero. Tra «risorse patto» e «recupero», quindi, arriveremo, entro il 2042, a 1 miliardo e 528 milioni. Da dove verranno gli altri? Ovviamente: dal fisco, dall’istituzione di una tassa d’imbarco, e dalla consegna anticipata dei ruoli a Equitalia.

Sicché, dire che il futuro della città dipende, dall’intoccabilità di un pacco (pardon: patto) per Napoli che darà alle casse comunali un miliardo e 300 milioni di euro in venti anni, per fronteggiare un debito che un anno addietro era già di 5 miliardi – e nel frattempo potrebbe anche essere ulteriormente cresciuto – è solo una presa per i fondelli.

Un problema in più?

La verità è che, a questo punto, il patto rischia di trasformarsi in un problema in più che va a sommarsi – e non solo a Napoli, in verità – alla situazione economica generale – tra guerra, inflazione (8,4%, record da 37 anni), caro bollette i napoletani hanno risposto all’aumento bruciandole in piazza), caro spesa, tasse e balzelli vari, disoccupazione giovanile e rosa che dopo 11 mesi hanno ripreso a crescere – ulteriormente peggiorata.

Mentre su tutti i contribuenti stanno già precipitando 20 milioni di ingiunzioni dal 2015 ad oggi bloccate durante il covid. E già questo renderebbe indispensabile una rivisitazione dei programmi Pnrr e del «patto». Ma questo si vedrà ad urne chiuse.

«Ancora una volta la sinistra pensa che debbano essere i napoletani a pagare il buco miliardario che i suoi rappresentanti hanno prodotto in trenta anni di “occupazione” di palazzo San Giacomo». Riflette, Marta Schifone capolista di FdI al plurinomimale per la Camera. E magari anche ringraziarli per avergli consentito cotanto onore, aggiunge chi scrive. «Inutile sottolineare – continua Schifone – che dopo il voto – quando come dicono i sondaggi, il centrodestra avrà vinto – approfondiremo la questione e senza ideologismi aiuteremo la città e l’Italia a venirne fuori».

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