Giornali e giornalisti sono divenuti maestri di reticenza, divagatori, che tendono a distrarre dal focus dei fatti
Le due figure storiche di Gorbaciov e di Giovanni Paolo II sono intimamente legate atteso che hanno contribuito da sponde opposte, dal mondo cattolico e comunista, alla fine della ideologia sovietica, alla caduta del muro di Berlino, fino allo smembramento dell’accordo e del derivato ordine di Yalta.
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Con la scomparsa del leader sovietico oggi inspiegabilmente non si parla della fine di una fase storica ed ideologica ed, invece, ci si sofferma su Marco Rizzo, comunista convinto fuori tempo massimo, che ricorda Gorbaciov come soggetto storico con la seguente frase «Era dal 26 dicembre 1991 che avevo aspettato di stappare la migliore bottiglia che avevo».
Per un comunista come Rizzo è naturale che guardi ed interpreti la fine del comunismo come un fallimento storico ed attribuisce la responsabilità a chi ha reso evidente e tangibile questa sconfitta, come Gorbaciov.
Ed invece oggi molti rilievi si sono fermati alla frase di Rizzo senza cogliere l’opportunità di elaborare e sviluppare le considerazioni sulle idee storiche decisive che servono ad ispirare coloro i quali incarnano passaggi importanti di straordinario cambiamento e di declinazioni memorabili in cui la tradizione cattolica, partendo da Solidarnosc di Lech Walesa, ha disarmato il materialismo storico comunista rinchiuso nella sua dimensione dittatoriale e nella sua mentalità chiusa, dimostrando che la democrazia, il lavoro di un sindacalismo autentico e non assoldato ai capitani d’impresa e la libertà in quanto valore per una comunità nazionale possano sortire effetti meravigliosi per l’umanità e la civiltà.
Il monito di Piero Angela
Così ancora una volta il mondo dell’informazione non riesce a cogliere il monito di Piero Angela quando nel suo messaggio di fine vita ha tentato di tramandare l’idea di «Cerca(re) di fare anche voi la vostra parte per questo nostro difficile Paese». Di contro i giornali ed i giornalisti più che interpreti di libertà sono divenuti maestri di reticenza, divagatori, che tendono a distrarre dal focus saliente dei fatti.
Ciò che è accaduto dimostra che la storia con i suoi giganteschi protagonisti deve misurarsi con la fragilità di chi si assume la responsabilità di dare notizie, di spiegare il senso delle vicende che accadono, ovverosia di svolgere correttamente un ruolo centrale di scrivere per chi vuole capire ed approfondire.
Questo accade perché il gioco dell’arbitrio e della falsificazione è ormai il luogo della disinformazione che serve solo ad eliminare il pensiero critico, la capacità di discernere, di dare un senso logico e persuasivo alla consequenzialità coerente degli eventi e di come questi siano concepiti e generati dalle volontà umane e dalle strategie mondiali.
L’odierno Roberto Saviano
Per cui a riprova di quanto esposto rintracciamo in via ulteriore un odierno Roberto Saviano che maramaldeggia plagiando testi e contesti, travisando documenti e scritti su cui vige e si afferma il diritto di altri autori su quanto già scritto in maniera originale. Ecco che Saviano – quando oggi scrive «Dio, patria e famiglia, slogan in uso prima del fascismo, diventa sintesi della visione di Mussolini. Dio come unica verità, Patria come confine da difendere, Famiglia come monopolio dell’affetto. Dio, Patria e famiglia, così declinati, non sono valori, sono un crimine»- dimostra per l’ennesima volta che svolge male un lavoro importante quello di rappresentare fatti con una definizione corretta delle dinamiche.
Ebbene adesso di fronte ad interpretazioni assolutamente arbitrarie emerge un bisogno che si traduce nella necessità di un’attività di contro-informazione affinché la verità si affermi con chiarezza e solidità, senza arbitrarie interpretazioni e falsificazioni di dubbio conio e di discutibili fonti.