Il dibattimento prenderà il via il 7 novembre
Tutti a processo, davanti alla Corte d’Assise di Santa Maria Capua Vetere, i 105 imputati, tra poliziotti penitenziari, funzionari del DAP e dell’azienda sanitaria locale, accusati, a vario titolo, delle violenze ai danni dei detenuti avvenute nel carcere di Santa Maria Capua Vetere (Caserta) il 6 aprile 2020. Lo ha deciso il giudice per l’udienza preliminare Pasquale D’Angelo, che ha rinviato tutti al dibattimento che prenderà il via il 7 novembre.
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Il gup ha inoltre prosciolto, come richiesto dagli inquirenti, il 50enne Luigi Macari, agente della penitenziaria, e ha fissato al 25 ottobre l’udienza per il rito abbreviato per due imputati che ne hanno fatto richiesta. Tra le accuse contestate a quasi metà degli agenti c’è quella di tortura, fattispecie introdotta pochi anni fa e contestata per la prima volta a così tanti funzionari pubblici; c’è poi l’omicidio colposo del detenuto algerino Lakimi Hamine, addebitato a 12 imputati, reati di lesioni gravi, depistaggio e falso in atto pubblico. Per ora si sono costituite al processo oltre cento parti civili, ma c’è tempo fino alla dichiarazione d’apertura del dibattimento.
Andranno dunque al processo a novembre l’ex provveditore regionale del Dap Antonio Fullone, gli ufficiali della penitenziaria Pasquale Colucci, Gaetano Manganelli e Anna Rita Costanzo e decine di agenti, con due medici del carcere. Lo scandalo scoppiò il 28 giugno del 2021, con 52 misure cautelari per le violenze in carcere avvenute l’anno prima in pieno lockdown (6 aprile 2020), atti che lo stesso Gip definì «un’orribile mattanza».
Per le violenze in carcere tutti sospesi tranne due agenti
Ad oggi tutti gli agenti e funzionari del Dap imputati sono sospesi dal lavoro in via amministrativa, ad eccezione di Nunzia Di Donato e Tiziana Perillo, entrambe tuttora in servizio che andranno al dibattimento a novembre; le due poliziotte facevano parte del Gruppo Supporto Interventi, nucleo speciale di agenti guidati da Pasquale Colucci, che il 6 aprile 2020 intervenne al carcere casertano per ‘punire’ i quasi 300 detenuti del Reparto Nilo, rei di avere protestato – senza commettere reati come accertato dalla Procura – dopo la positività al Covid di un loro compagno.
Le telecamere ripresero i detenuti mentre venivano costretti a passare in un corridoio subendo pugni e manganellate; anche un detenuto sulla sedia a rotelle (deceduto poche settimane fa, ndr) fu colpito mentre altri furono letteralmente trascinati per le scale e presi a calci. Tra i detenuti pestati anche l’algerino Lakimi Hamine, morto il 4 maggio 2020 dopo essere stato tenuto in isolamento dal giorno in cui avvennero le violenze. Dopo il 6 aprile – sostiene la Procura – iniziò inoltre l’attività di depistaggio con certificati medici falsificati per dimostrare che gli agenti avevano subito violenze dai detenuti; gli imputati provarono invano anche a manomettere le telecamere.
A denunciare tra i primi le violenze fu il garante regionale dei detenuti Samuele Ciambriello. Il clamore della vicenda condusse in visita nel carcere sammaritano anche il premier Draghi e la ministra Cartabia, il 14 luglio 2021: «Il governo non ha intenzione di dimenticare. Non può esserci giustizia dove c’è abuso. E non può esserci rieducazione dove c’è sopruso», ammonì il presidente del Consiglio.
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