Letta parla del voto: «Io penso che le elezioni in aprile sia la cosa giusta»
Sette giorni per capire come uscirne. Il Senato affronterà la prossima settimana il voto di fiducia sul decreto aiuti. E il Movimento Cinque Stelle dovrà decidere se sostenere o meno il provvedimento che contiene il contestato passaggio sull’inceneritore di Roma. Con una difficoltà in più rispetto alla Camera: il regolamento di palazzo Madama non permette di scindere il voto di fiducia da quello finale.
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A Montecitorio i pentastellati dopo aver votato la fiducia (il provvedimento incassa 410 voti a favore e tra le fila del Movimento dei 28 assenti, 15 risultano «ingiustificati») sarebbero intenzionati a non partecipare al voto finale sul testo in programma lunedì. Ma gli occhi sono già puntati sul Senato dove la tenuta della maggioranza torna in discussione.
Conte: «Voteremo la fiducia alla Camera, al Senato vedremo»
Ad alzare di nuovo la tensione sono le parole di Giuseppe Conte: «Vogliamo collaborare. Voteremo la fiducia alla Camera, al Senato vedremo». Una frase che lascia molti dubbi dentro la maggioranza. Pallottoliere alla mano, anche senza il Movimento, Draghi avrebbe comunque la maggioranza in Senato, ma è evidente che un’eventuale decisione di non votare la fiducia avrebbe delle conseguenze politiche serie.
Nulla è ancora deciso e stando ai ragionamenti degli partiti della maggioranza la convinzione è che i pentastellati (almeno per il momento) non abbiano intenzione di rompere. A Montecitorio il Movimento resta allineato alla maggioranza, ma i segnali di insofferenza sono evidenti: «Diamo la fiducia oggi a questo governo, ma attendiamo delle risposte», mette in chiaro Lugi Gallo che poi ricorda alcune delle richieste contenute nel documento consegnato da Conte al premier: «Ci aspettiamo misure a lungo termine che consentano ai cittadini di superare un momento di crisi così lungo, la conferma del reddito di cittadinanza senza se e senza ma, il salario minimo, il superbonus e lo stop alla speculazione».
Il Pd: «Far uscire l’Italia e gli italiani dalla situazione di crisi»
Un appello ad evitare di mettere in discussione l’esecutivo arriva da Enrico Letta: «Quello che è importante in questo momento è considerare che è fondamentale, assolutamente fondamentale far uscire l’Italia e gli italiani dalla situazione di crisi che stiamo vivendo e che purtroppo sta peggiorando». Poi dopo per la prima volta parla di voto: «Io penso che le elezioni in aprile sia la cosa giusta. Ci sono tante cose da fare fino a quel momento: la prima è il Pnrr»
Non solo, il leader Dem rassicura anche sulla tenuta del campo largo: «Con il Movimento 5 Stelle continua un percorso di discussione sulle cose da fare». Più duro il giudizio di Italia Viva, il partito guidato da Matteo Renzi. A lanciare un affondo contro l’ex premier è Teresa Bellanova: «Spero che il caldo porti chi non è in grado di fare il leader un po’ al mare e rinfrescarsi lasciando lavorare il presidente Draghi per la ripartenza».
La Lega: «Siamo leali e responsabili ma la Lega farà la Lega»
Chi resta per il momento alla finestra è Matteo Salvini. Il leader della Lega riunisce ancora una volta i suoi deputati e recapita un messaggio chiaro al resto della maggioranza ma anche a palazzo Chigi: «Siamo leali e responsabili ma la Lega farà la Lega», dice l’ex ministro che annuncia barricate la prossima settimana su i due provvedimenti che approderanno nell’aula della Camera: ius scholae e cannabis. Due norme su cui nella Lega non ci sono distinguo: «Sono due provvedimenti su cui il governo non c’entra nulla», ci tiene a precisare Giancarlo Giorgetti che però rincara la dose: «La Lega si metterà giustamente di traverso con tutti i mezzi possibili».
Meloni: «Pd e sinistra si ammantano da “grandi statisti” ma ragionano solo per interesse di bottega»
Intanto arriva la stoccata del presidente di Fratelli d’Italia, Giorgia Meloni: «Il Pd e la sinistra italiana ripetono ogni giorno che il governo Draghi non può andare a casa perché siamo nel pieno di una crisi internazionale senza precedenti. Per la sinistra l’Italia non può permettersi una crisi di governo perché c’è la guerra in Ucraina. Peccato che siano gli stessi che oggi gioiscono per le dimissioni del premier britannico Boris Johnson, su Twitter festeggiano per la “caduta del clown” e si entusiasmano per l’apertura di una crisi politica in una Nazione fondamentale nel sostegno all’Ucraina contro l’aggressione di Putin. Dalla sinistra il solito pietoso spettacolo: si ammantano da “grandi statisti” ma ragionano solo e soltanto per interesse di bottega. La fazione sempre prima della Nazione».