Se il popolo diserta le urne, la democrazia diventa una parola vuota, ma al servizio esclusivo di pochi
Il clima elettorale e la recente scissione dei Cinque Stelle riportano l’attenzione sulla legge elettorale. È ormai evidente che l’elettore conta meno di niente nelle scelte politiche e che il bipolarismo, che resiste ancora nelle elezioni amministrative e regionali, è stato messo in crisi dall’avvento rumoroso dei grillini. Con essi il mondo avrebbe dovuto diventare migliore, la politica avrebbe dovuto essere depurata dalle scorie malsane del malaffare e riportata nell’alveo della coerenza tetragona e dell’onestà cristallina.
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Oggi sappiamo com’è andata a finire, ma il suo vero ruolo storico, poco coerente con i proclami, è stato svolto almeno in parte e la demolizione del sistema bipolare e coalizionale è a buon punto: l’alternanza tra le coalizioni di centrodestra e di centrosinistra è stata interrotta da tempo. Ciò si è potuto verificare grazie ad un movimento costruito in laboratorio con lo scopo di dirottare verso il nulla l’insoddisfazione popolare e favorire governi abborracciati e disomogenei.
E fu così che il Movimento Cinque Stelle, dopo aver tradito puntualmente il proprio elettorato, disattendendo tutte le aspettative di catarsi e di rigenerazione della politica nonché gli impegni solennemente presi in campagna elettorale, si è trasformato in un Movimento Cinque Macerie fino a sdoppiarsi, con la scissione, in due tronconi inutili e fintamente contrapposti.
A voler essere sinceri, la contrapposizione esiste ma riguarda solo i leader, Conte e Di Maio, per il resto votano allo stesso modo di tutto e di più per non mettere in crisi il governo Draghi, al quale sono tutti attaccati come il sommozzatore alla sua bombola d’ossigeno, convinti di dovere arrivare alla fine della legislatura anche in apnea, se necessario.
E dopo? E qui ritorna appunto la questione della legge elettorale
L’ideale, per chi non ha un orientamento preciso, una chiara visione del modo che faccia da bussola per le scelte personali e politiche, il sistema elettorale migliore sarebbe un bel proporzionale puro, magari senza soglia di sbarramento.
Come si sa, il numero dei parlamentari è diminuito notevolmente grazie ad una modifica costituzionale fortemente voluta proprio dai Cinque Stelle che ne pagheranno il prezzo maggiore. Con l’attuale legge elettorale, le formazioni politiche minori potrebbero scomparire di scena travolgendo alcuni leader politici che oggi sono ancora sulla cresta dell’onda grazie ad un parlamento mummificato sui risultati elettorali del 2018.
In particolare, per i politici come Di Maio e i suoi accoliti, si profila un salto nel buio che potrebbe riportarli allo status quo ante, non certo gradevole per i molti che hanno scelto di lanciarsi nell’avventura politica ancor prima di trovarsi un lavoro.
Purtroppo, nonostante la distanza siderale che oggi intercorre tra elettori ed eletti, in parlamento Conte e Di Maio, seppur separati, ma con la comune esigenza di sopravvivere politicamente, dispongono della maggioranza relativa ed hanno tutto l’interesse a puntare su di una legge elettorale che garantisca loro un futuro non solo parlamentare ma anche di governo e il sistema proporzionale farebbe davvero al caso loro.
A ciò si aggiunga che la forte ascesa di Fratelli d’Italia non piace neppure a Salvini, che qualche tempo fa si vedeva già seduto sullo scranno di Palazzo Chigi, né alle truppe residuali di Forza Italia e affini, che mostrano di non gradire un centrodestra guidato dalla Meloni, sulla quale si scaricano ancora i non mai sopiti pregiudizi dell’antifascismo.
Il ritorno al vecchio Arco Costituzionale
D’altra parte, l’attuale ammucchiata governativa, ancorché ripugnante per gli elettori, costituisce una sorta di ritorno al vecchio Arco Costituzionale del secolo scorso, che assegnava patenti di legittimità democratica a tutti tranne che alla destra.
L’esperimento emulativo potrebbe piacere a coloro che amano sentirsi dalla parte giusta della storia, che è anche quella di stare seduti alla mensa del Signore, al ricco tavolo dei commensali graditi all’Unione Europea, alla Nato e agli Stati Uniti, nonché alle multinazionali del farmaco, che hanno a cuore la nostra salute, ed alle multinazionali delle armi, che stanno dimostrando di avere a cuore la pace e la democrazia. Agli altri toccherà digiunare o accontentarsi delle briciole che cadranno dalla mensa del ricco epulone.
A questo punto è del tutto naturale che gli elettori si chiedano a che serva andare a votare se non possono eleggere il Presidente della Repubblica, se non possono eleggere il Presidente del Consiglio, se i partiti non si impegnano a dire prima con chi stare, in quale coalizione e con quale programma, e se dopo le elezioni i parlamentari potranno fare l’esatto contrario di ciò che avevano promesso in campagna elettorale. In questo clima poco rassicurante c’è da aspettarsi un ulteriore incremento della sfiducia e dell’astensionismo.
Ma è d’obbligo porsi anche un’altra domanda: a che serve non andare a votare? Il non-voto favorisce inevitabilmente le formazioni filo-governative ed il potere costituito, che può essere messo in discussione solo se la protesta esce dall’ombra dell’astensione e si traduce in forza oppositiva, a prescindere dai difetti e dai limiti della legge elettorale e della classe politica. In altre parole, se il popolo diserta le urne, la democrazia diventa una parola vuota e da “potere del popolo” si trasforma in potere senza popolo al servizio dei pochi che ne hanno interesse.
Nuccio Carrara
Già deputato e sottosegretario
alle riforme istituzionali