A seguire Luigi Di Maio nella nuova avventura dovrebbero, essere tra senatori e deputati, una settantina di parlamentari
«Insieme per il futuro», ma verso un futuro che non c’è e laddove ci fosse non sarebbe sufficiente a raccogliere tutti quelli che ambiscono ad entrarci. Ieri sera il ministro degli esteri, Luigi Di Maio – dopo aver rinnegato se stesso e i valori fondativi di quel movimento 5 stelle che si era presentato come un «non partito», ma strada facendo si è trasfromato nel «peggio partito», non della seconda, bensì della prima repubblica – ha salutato ed è uscito dal palcoscenico a 5 stelle ed è sbucato su di uno scenario non ben definito, incamminandosi, in compagnia – almeno a suo dire – di un settantina di parlamentari che hanno deciso di seguirne la sorte.
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Ed ora cosa succederà? Intanto che con la fuoriuscita di Di Maio e amici, il 5stelle non sarà più la prima forza presente in Parlamento, cedendo questo primato alla Lega. Ad ennesima dimostrazione che la democrazia non è più di questo Parlamento che, ormai, rappresenta soltanto se stesso. Visto che la Lega, come i pentastellati hanno perso – vedi le elezioni di una settimana addietro – quel sostegno popolare che li ha sostenuti fino alla nascita e alla loro adesione, del governo Draghi.
Un Parlamento delegittimato
E se sono ancora le due forze politiche più numerose del Parlamento devono ringraziare Mattarella che continua a girarsi dall’altra parte, evitare di sciogliere le Camere e – per paura che dalle urne possa uscire vincente il centrodesttra – mantenenere in vita un Parlamento delegittimato e che ha non più niente da dire e da fare per Paese.
Fingendo, per altro, di non accorgersi che questa maggioranza guidata da un premier non votato, ma indicato da lui, e sostenuto da due forze politiche Lega e 5S in caduta libera, non rappresenta più nessuno, ma soltanto se stesso e, forse, il Capo dello Stato, e solo perché, è lui che continua ad imporne l’esistenza all’Italia, cui – non potendo fare altro – non resta che adeguarsi facendo «buon viso a cattivo gioco».
Pur sapendo che questo gioco non portarà da nessuna parte, se non sul fondo di un burrone da cui – alla prossima elezione, soprattutto se si arriverà alla scadenza naturale della legislatura – sarà difficilissimo risalire. E purtroppo, ancora una volta saranno l’Italia e gli italiani a pagarne le conseguenze.
E non ne usciranno indenni neanche i pentastellati – quelli che resteranno con Conte, ma anche quelli che si metteranno in marcia verso quel futuro, promesso da Di Maio, ma che non c’è – i cui eletti tra la riduzione (voluta proprio da loro) del numero dei parlamentari, il mantenimento del vincolo dei due mandati e la perdita dei consensi, rischiano di non essere più numerosi dei «quattro amici al bar» di Gino Paoli.
E l’agognato campo largo di Enrico Letta, avrà ancora meno spazio a propria disposizione. E a trarne il massimo vantaggio potrebbe essere – se, da qui alle prossime politiche nella primaversa 2023, saprà attrezzarsi adeguatamente – il centrodestra. Non ci resta che aspettare per rendercene conto.