Clima arroventato per la presidenza della Commissione Esteri del Senato
Altro che Ucraina è il Vietnam quello che attende Mario Draghi. Il premier arriverà oggi in Parlamento, prima in Senato (ore 9) e poi alla Camera (ore 11), e ad accoglierlo ci sarà per l’appunto un clima arroventato dal «colpo contro il M5S» (copyright Luigi Di Maio) sulla presidenza della Commissione Esteri del Senato. Commissione che dopo la rimozione di Vito Petrocelli sarebbe dovuta rimanere nella disponibilità del Movimento e che invece è finita nelle mani di Forza Italia con Stefania Craxi.
Insomma, se già prima l’accoglienza al premier non sarebbe stata delle migliori, adesso la tensione è ancora più palpabile. Segno di una maggioranza che fa acqua da tutte le parti e che, come qualche osservatore esperto ha detto, assomiglia ormai a una minoranza di unità nazionale.
Infatti, non si contano più i temi e le frizioni che dividono a cui soltanto la crisi internazionale, ma soprattutto la paura di non essere rieletti (per La Repubblica sarebbe 8 su 10 i parlamentari pentastellati che non ritorneranno in Parlamento), sembrano riuscire a porre un argine. Non a caso sul dl Riaperture al Senato si è arrivati al traguardo delle 50 fiducie, mentre l’ultimo decreto Aiuti, dopo un doppio passaggio in Consiglio dei ministri, ancora attende la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale. Per non parlare delle riforme per il PNRR da tempo bloccate: una su tutte la Concorrenza, ostaggio di un mancato accordo sulle norme sulle concessioni balneari.
Il premier, la sintesi e un punto di equilibrio
In questo scenario c’è il premier, Mario Draghi, che fatica sempre di più a trovare una sintesi e un punto di equilibrio. Ruolo che, con un po’ di perfidia, gli ha affidato Giuseppe Conte subito dopo aver appreso quanto accaduto in Commissione Esteri del Senato. Ed è proprio qui che si concentrano e scatenato le contraddizioni della maggioranza: con il centrodestra di governo che volta le spalle al candidato Cinquestelle, Ettore Licheri, il quale invece riesce soltanto, forse, a compattare su di sè il voto di Pd e M5S. Forse, perché sulla carta i giallorossi nella Commissione dovrebbero poter contare su 12 voti, ma alla fine della conta ne mancheranno ben 3, segno che qualcuno ha tradito.
«Implosione della maggioranza» tuona subito Luca Ciriani, il capogruppo in Senato di Fratelli d’Italia, a cui fa eco proprio Giuseppe Conte parlando di «una nuova maggioranza che spazia da FdI fino a Iv». Accuse rispedite al mittente da Giorgia Meloni che invece fa notare che «è accaduta una cosa abbastanza scontata, che nulla ha a che fare con una nuova maggioranza. FdI tra un candidato M5S e un candidato di centrodestra ha scelto quello di centrodestra».
Sì, appunto, il centrodestra che esce da questa votazione compatto, o almeno apparentemente, e verso cui Enrico Letta non manca di riversare il suo biasimo: «Il centrodestra di governo ha fatto un errore. Questa scelta ha aggiunto tensione ed elementi di rottura; oggi la compattezza della maggioranza è scesa di un gradino e questo non è una cosa buona». E la conseguenza di tutto ciò non può che essere questa: «Troppi incidenti possono far deragliare la macchina del governo». Preoccupazioni che però non condivide Matteo Salvini per il quale «non c’è nessun problema per la maggioranza, quando il Parlamento vota è sempre una buona cosa».
Draghi e il pacifismo nostrano
Ecco, è su questa tela consunta che oggi toccherà a Draghi prendere pennello e colori e dipingere il suo racconto, quello dell’impegno italiano nella guerra russo-ucraina; del sostegno alla resistenza ucraina e di tutto quello che si porta dietro dal viaggio in Usa e dall’incontro con Biden. Tela sulla quale oggi avrebbe voluto metterci le mani Giuseppe Conte per disegnare il suo di racconto, quello che sta piano piano costruendo lisciando il pelo al pacifismo nostrano (anche quello intriso di putinismo) al fine di incassarne il dividendo elettorale.
Ma Draghi fiutata l’aria ha impedito che l’informativa di oggi diventasse un’ordalia, una conta tra pacifisti e non, tra interventisti e non, e con la quale mettere il premier e parte della maggioranza, quella tanto per intenderci considerata guerrafondaia, con le spalle al muro. Oggi non sarà così. Nessun voto. Se ne riparlerà, forse, dopo il Consiglio europeo di fine mese quando è possibile che la situazione in Ucraina abbia preso una china differente e, chissà, qualche timido passo in avanti l’avrà fatto anche la diplomazia.
Oggi sarà soltanto accademia, passerella per Draghi e anche per qualche leader, come Renzi o Salvini, che cercheranno al Senato o alla Camera di prendersi la scena. Di raccontare quanto l’Italia sta facendo e deve fare per l’Ucraina. Insomma, oggi si parla di Ucraina, il Vietnam può attendere.
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