La scoperta dall’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (Ingv)
I gas emessi nella zona dei Campi Flegrei e le variazioni nella loro composizione hanno origine da due principali sorgenti di magma: una più profonda, situata tra 16 e 12 chilometri di profondità, che ha alimentato la crisi bradisismica del periodo compreso fra il 1982 e il 1984; l’altra, localizzata a circa 8 chilometri di profondità, è alla base della crisi iniziata nel 2000 e ancora in corso. E’ questa la dinamica attiva al di sotto dell’area vulcanica dei Campi Flegrei, scoperta dall’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (Ingv).
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Il risultato è pubblicato sul Journal of Geophysical Research: Solid Earth. La ricostruzione fa luce sui meccanismi che sono alla base del sollevamento del suolo (il cosiddetto bradisismo) e dell’attività sismica che caratterizzano la zona, e le nuove conoscenze in futuro potrebbero essere utili per affinare gli strumenti di previsione e prevenzione della protezione civile. «Le caldere, come quella dei Campi Flegrei, sono depressioni vulcaniche formate dal collasso delle rocce della camera magmatica quando si svuota durante le grandi eruzioni», osserva Lucia Pappalardo, dell’Osservatorio Vesuviano dell’Ingv e co-autrice dello studio.
«Spesso manifestano delle fasi di squilibrio, con frequenti terremoti, bradisismo e un considerevole flusso di gas e calore. Tuttavia – prosegue – poiché questa attività è dovuta alle complesse interazioni tra magma e sistema idrotermale immagazzinato sotto il vulcano, è sempre difficile prevedere l’evoluzione di queste dinamiche».
L’architettura del sistema magmatico
I ricercatori hanno esaminato le minuscole gocce di magma intrappolate nei cristalli che si sono formati durante le eruzioni degli ultimi 15.000 anni, ricostruendo in questo modo l’architettura del sistema magmatico profondo dei Campi Flegrei.
«Il nostro studio mostra come i gas rilasciati dal magma in risalita nelle zone profonde del sistema di alimentazione del vulcano si accumulino alla base del sistema idrotermale sovrastante, localizzato a circa 3 chilometri di profondità», commenta Antonio Paonita, uno degli autori. «Il sistema idrotermale viene quindi riscaldato e pressurizzato – aggiunge – deformando e fratturando le rocce crostali più superficiali e dando così origine ai fenomeni di sollevamento del suolo e ai terremoti tipicamente osservati nell’area».
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