I partiti sono preda dell’uomo solo al comando
Le vicende di questi ultimi anni, a partire dal 2011 con la defenestrazione, tramite spread di Berlusconi, la politica ha preso la china trasformistica in cui contenere tutto ed il suo contrario.
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Con l’avvento del nuovo millennio si pensava che la seconda repubblica potesse assumere i connotati di una democrazia matura in cui l’alternanza fosse sale del confronto e, soprattutto, dove all’interno delle coalizioni vi fosse un ricambio generazionale, portatore di ragioni nuove e motivi caratterizzanti in cui, oltrepassando le ideologie novecentesche, si potesse giungere a idee e prassi capaci di risolvere le questioni di una umanità che vivesse un progressivo snaturamento, ovvero che non pensasse a vivere e sopravvivere, anziché orientarsi verso il proprio annichilimento.
Così sempre più spesso i partiti – anziché organizzarsi e convincersi del «perché» si dovesse esistere andando in direzione del «bene comune» e soprattutto approfondire i temi per garantire soluzioni benigne e direzioni di marcia plausibili fatte di libertà e dimensioni equilibrate – si sono rarefatti al punto da ridursi in una condizione di appiattimento culturale e soprattutto di dubbia moralità, in cui un sistema corruttivo ha imprigionato l’anima e la mente.
Ma, come si sa, la politica non permette vuoti, storici e/o fisici
È la logica della teoria dei vasi comunicanti ad impregnare la dialettica dell’impegno per gli altri: per cui se non esistono più i partiti tradizionali, costituiti da nervature ideologiche e classi dirigenti formate e coltivate nel tempo, nel frattempo si sono usurati anche i partiti «personali» che non sono riusciti a dare una dimensione coesa alla società, al punto da far diventare i dibattiti pubblici specchio di sterili contrapposizioni ed atteggiamenti pirateschi e che, soprattutto nell’ambito locale, non rendono giustizia all’impegno e non danno buoni risultati, laddove a risorse spese non corrisponde qualità e soprattutto la politica non riesce a dare forza ad una narrazione in cui rintracciare intelligenze e programmazione.
Così, quello che oggi contraddistingue la dinamica critica è l’assenza di progettualità e quel necessario pensiero fluido, resiliente e coraggioso, in grado di rappresentare un riferimento certo e, nel contempo, capace di accompagnare lo stare insieme nella sua espressione e crescita, nel suo reticolare relazionarsi in cui uomini e donne partendo dal basso ritracciano i fili della memoria, rendono importante lo scambio di esperienze ed ancora affermano la via risolutiva di diradare gli allarmismi e gli «stati di necessità», fatti di obblighi in assenza di libertà da vivere.
Eppure l’esperienza quotidiana che viviamo ci allontana sempre di più da una naturale traiettoria fatta di valori antichi e rigorosi da coniugarsi ad un avvincente e radicale capacità mobilitante di dare tensione entusiastica alle scelte, di dare prospettiva durevole alle realizzazioni, che rendono, così, la politica sistematica e stabilmente ancorata a visioni.
Non prediligono la discussione pubblica
Di fronte a questo bisogno l’odierno impegno politico, sociale e culturale rimane preda di uomini soli al comando, che non prediligono la discussione pubblica capace di rendere unitaria e resistente la trama che si sta tessendo, rimanendo incapaci di fissare, con chiarezza, una linea di demarcazione tra la necessità di superare la debolezza critica della democrazia che si è messa su e la volontà di superare quello stato di rassegnazione di una popolazione sempre meno partecipe.
La tendenza ci porta a dire che nell’assottigliarsi dei diritti fondamentali vi si annidi tutta una “cultura impolitica”, direbbe Thomas Mann, che riletto da Magris ci appare come occasione e luogo in cui attraverso Mann si torni ad essere sensibili a mutuare e contrapporre lo spirito della nazione e della solidarietà all’universalismo illuminista, la tradizione sorgiva del popolo alle astrazioni internazionaliste, lo scorrere della Vita aldilà o al di qua del bene e del male ai moralismi intellettualistici e benintenzionati, il canto popolare ai verbali delle sedute parlamentari e ai codicilli giuridici, il silenzio del bosco alle ciarliere e spesso cialtronesche assemblee.
Così la Kultur, la cultura quale senso profondo e totale della vita, si contrappone alla Zivilisation che egli vedeva incarnata nello spirito francese razionalista e giacobino, mera ancorché sofisticata tecnica impersonale, buona forse per l’economia o i programmi di governo ma non per l’individuo, per la vita, per il senso del mondo.
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