Venti di guerra, Terzi: «Difesa europea può avere senso solo con una politica estera comune»

di Mauro Della Corte

Giulio Terzi di Sant’Agata a ilSud24: «Senza giochi di propaganda, la Russia ritorni ai percorsi che l’Unione Sovietica aveva intrapreso»

La crisi tra Ucraina e Russia sembra aver subìto un’accelerazione improvvisa nelle ultime ore con il riconoscimento da parte russa dell’indipendenza delle due repubbliche separatiste di Lugansk e Donetsk e l’invio dei primi blindati russi a Donetsk. Una situazione che desta parecchia preoccupazione anche in Europa e in Italia che, a differenza di quanto sembri, non è lontana dal fronte ucraino. Escalation che, anche se non dal punto vista militare, potrebbe coinvolgere molti aspetti della nostra vita quotidiana. Ne abbiamo parlato con l’ambasciatore Giulio Terzi di Sant’Agata, già ministro degli Esteri del governo di Mario Monti.

Ambasciatore fino a che punto il rischio conflitto tra Russia e Ucraina può coinvolgere l’Europa?

«La coinvolge totalmente perché è un conflitto nel cuore dell’Europa, che sia un conflitto interamente militare o fatto nella zona grigia con diverse gradazioni di un cyber warfare, cioè di un impiego militare dei cyber, o che oltre all’impiego del cyber o che utilizzi mezzi di informazione e di condizionamento dell’opinione pubblica ucraina per destabilizzarla o che ci sia un sovvertimento dell’ordinamento politico istituzionale a Kiev, ci sono tante ipotesi che riguardano l’Europa nella sua interezza, la stabilità e la sicurezza dei Paesi dell’Unione Europea, di quelli che fanno parte della Nato o di quelli che non fanno parte ancora della Nato. Quello che sta avvenendo è una cosa che riguarda direttamente l’intera Europa».

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«È una situazione chiaramente critica. Il fatto che questa crisi la riguardi e che sia un elemento di fortissima preoccupazione per l’Europa e per i cittadini di ogni Paese europeo è dimostrato anche da un importante sondaggio fatto nei 7 principali Stati dell’Unione dall’European Council on Foreign Relations in cui la maggioranza degli intervistati sono convinti che la Russia invaderà militarmente l’Ucraina e che per l’Unione Europea e per la Nato è fondamentale sostenere l’Ucraina. Il sondaggio ha tirato anche la conclusione che gli europei sono preparati a sopportare degli oneri pesanti pur di rispondere alla minaccia che riguarda non soltanto la stabilità, la sicurezza ma anche pesantemente il flusso dei rifugiati».

«Il preannuncio di quest’arma dei rifugiati era stato chiarissimo con la crisi dei rifugiati transitati dalla Bielorussia ma anche con il beneplacito di molti perché la Bielorussia da quando ha assunto questo atteggiamento di vassallaggio della Federazione Russa e Lukashenko da Putin non può avere che immaginato una veicolazione dei rifugiati verso l’Europa. Poi la minaccia riguarda anche l’energia, gli attacchi cyber. È dell’altro ieri la notizia che il governo francese e tutti i partiti politici hanno sostenuto la creazione di un’agenzia apposita per evitare che ci sia una specie di attacco cyber russo e attività di influenza degli hacker russi durante le prossime elezioni presidenziali».

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Un faccia a faccia tra Putin e Biden potrebbe essere considerato come la dimostrazione che nessuna delle parti in causa ha veramente voglia di guerra e c’è ancora spazio per la diplomazia?

«Che nessuna delle parti in causa voglia una guerra sembra abbastanza chiaro. Lo schieramento di 180/190mila uomini sulle frontiere e l’accerchiamento dell’Ucraina, le esercitazioni continue svolte durante quel ritiro diciamo coreografico, poi è stato smentito. E le richieste ultimative che sono state rivolte dal Cremlino agli occidentali e lo spiegamento militare, che non è nato negli ultimi tre mesi ma che è stato predisposto almeno dalla tarda primavera dell’anno scorso, le manovre militari sui confini, e le manovre delle forze nucleari hanno voluto dimostrare la potenza a chi la Russia di Putin non ritiene solo l’antagonista, ma addirittura quasi il nemico. Tutto ciò lascia l’interrogativo se la Russia voglia davvero la guerra o è in cerca di soluzioni alternative».

«Le sue preoccupazioni, di essere accerchiata o di essere attaccata dall’alleanza atlantica, si risolvono facilmente».

«Si può ritornare in modo serio, e senza fare giochi di propaganda e di malafede, a dei percorsi che la grande Unione Sovietica, principale protagonista della storia del ‘900 di cui Putin non ha mai finito di lamentare la fine, aveva tracciato. È una cosa molto semplice da fare, cioè basta riprendere il percorso dell’Unione Sovietica con il controllo, rimissione, verifica, contenimento delle armi convenzionali e delle forze nucleari e degli armamenti a lungo raggio».

«Un percorso che possa rassicurare la Russia e che rassicurerebbe molto anche i paesi occidentali in particolare quelli europei. Ricordiamo che ci sono dei missili a media gittata e con capacità nucleare che sono stati spiegati con grande decisione dalla Russia. Così vale anche per gli armamenti convenzionali per i quali c’è un trattato che è stato fatto cadere dai russi nel 2008. E adesso si capisce perché. Perché uscendone ha potuto fare un’operazione militare molto importante in Abcasia arrivando a pochi chilometri da Tiblisi, ha potuto rafforzare la sua presenza nel Caucaso e soprattutto ha potuto liberarsi le mani nel 2014 nello spiegamento di attacco e di riaggressione dalla Crimea. Tutte queste cose le avrebbe potute fare con maggiori difficoltà se ci fosse stato un trattato».

«E adesso lo capiscono tutti che c’era un disegno d’insieme per aver le mani libere nel Caucaso, in Crimea e adesso il Donbass. Si capisce da dove viene questa volontà di uso indiscriminato della forza in un’eventuale esplosione di un conflitto con l’Ucraina, perché è la vittima designata di questa volontà di espansione e di annessione territoriale».

Pare chiara una visione più ampia

«Ricordiamoci bene che gli obiettivi dichiarati del presidente Putin sono quelli di azzerare le difese dei tre Paesi baltici, della Polonia, dell’Ungheria, della Repubblica Ceca, della Bulgaria e della Romania. L’obiettivo quindi è di azzerare le capacità di difesa e intervento di questi Paesi per ricostruire lo spazio dell’Unione Sovietica».

«La sua richiesta all’alleanza atlantica è che tutti i paesi entrati nella Nato dopo il 1997 non devono avere nessuna forma di presenza di altri paesi dell’alleanza e di infrastrutture atlantiche. Il che vuol dire che questi rimangono in pigiama, è evidente che nessuno di questi ha la capacità di fermare eventuali rivendicazioni portate avanti con la forza da parte del governo russo qualora a qualcuno venisse in testa di proporre alla Duma, così come è stato fatto per la Crimea nel 2014 e una settimana fa per il Donbass che si sono dichiarate repubbliche autonome, di intervenire per proteggere le minoranze russofone».

«Questa è l’idea che giustifica, dal punto di vista russo, lo spiegamento e la minaccia di attacco. Si immagini la difficoltà di questi nuovi membri dell’alleanza atlantica di privarsi immediatamente della garanzia atlantica nei confronti di una storia degli ultimi 14 anni che fa vedere come la Russia non abbia nessuna remora ad affermare i suoi interessi».

Al punto in cui siamo arrivati, non sarebbe arrivato il momento di dare un’accelerata al processo di costituzione della Federazione degli Stati Uniti d’Europa, per superare l’Unione e mettere a punto una politica estera comune?

«Assolutamente sì perché la difesa europea può avere senso soltanto se esiste un’integrazione della politica estera. Perché la politica estera di sicurezza non ha mai funzionato. Qualcosa è migliorato solo dopo che il trattato di Amsterdam e i trattati dell’Ue hanno dato un valore particolare alla struttura dell’Alto Rappresentante e gli ultimi che hanno dato un ruolo specifico e anche una dignità alla sua figura. Impropriamente lo chiamano ministro degli Esteri ma non lo è, ma ha comunque uno status di numero due effettivo del presidente della Commissione europea».

«Quindi noi, quanti credono effettivamente e non a chiacchiere all’Unione europea, dobbiamo porci l’obiettivo di creare un’integrazione decisionale che non sia consenso ma maggioranza, anche non amplissima, per tutte le decisioni che riguardano la politica estera».

«C’è un punto molto critico che non è tanto la competizione tra difesa europea e difesa atlantica perché comunque sarebbero evidentemente integrate, ma la spesa. Il creare una difesa europea vuol dire spostare nel bilancio dello Stato delle cifre immense. Bisognerebbe spostare denaro al bilancio europeo sottraendoli a tutte le principali voci di spesa dei singoli stati come quelle destinate al welfare, all’educazione, alla sicurezza interna. L’esser competitivi vorrebbe dire riallineare i bilanci della difesa europea su quelli che sono i principali competitor».

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