L’elezione di Mattarella segna la sconfitta delle leadership, eccetto di quella di Giorgia Meloni
Diciamolo chiaramente, queste elezioni presidenziali passeranno alla storia per essere state quelle in cui le vanità di leadership di tanti protagonisti sono state miseramente bruciate.
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Soltanto Giorgia Meloni, leader di Fratelli d’Italia, può dire di essere uscita a testa alta dalla tenzone. Sì, non ha portato a casa la pelle dell’orso e cioè l’elezione di un presidente di centrodestra, ma è stata quella che fino all’ultimo ha tenuto alta la bandiera della coerenza e che non si è piegata all’usato sicuro del Mattarella bis.
E non a caso i sondaggi la stanno premiando. Lei e Fratelli d’Italia escono da queste due settimane con indici di gradimento in crescita, a conferma che gli italiani hanno non soltanto capito la sua linea politica ma l’hanno anche apprezzata.
Di contro tutti gli altri vedono il loro apprezzamento ridursi. Da Conte a Salvini, da Letta a Renzi fino a Berlusconi tutti stanno pagando dazio, frutto di quel balletto di nomi, trattative e retromarce che hanno segnato queste ‘quirinarie’. Insomma, un bel falò delle vanità delle loro leadership, che alla prova del Colle sono state miseramente bruciate.
Come quella di Matteo Salvini che proprio sul Quirinale aveva deciso di puntare tutte le sue fiches, fare un all in per portare per la prima volta al Colle un esponente di centrodestra. Alla fine perderà questa partita e pure l’altra, quella di eleggere la prima donna presidente della Repubblica.
E sempre in tema di falò delle vanità di leadership c’è anche quella di Giuseppe Conte, che nel gioco di sponda con Matteo Salvini ha mostrato non solo tutti i limiti nel controllo del M5S ma soprattutto l’effettiva esistenza di una competizione interna con Luigi Di Maio per la guida del Movimento stesso.
L’intervento del presidente
Però non sono soltanto le vanità di leadership a finire tra le fiamme di queste ‘quirinarie’, c’è anche un altro falò da fare ed è quello delle banalità del discorso di Mattarella. Chi riponeva, infatti, grande attesa per l’intervento del neo bis presidente sarà rimasto deluso. Una serie di banalità, buoni propositi e ovvietà che lasciano a dir poco interdetti.
Un esempio? Quando nella parte finale Mattarella ha parlato di dignità, che per lui è «azzerare le morti sul lavoro»; «opporsi al razzismo e all’antisemitismo»; «impedire la violenza sulle donne»; «di combattere, senza tregua, la tratta e la schiavitù degli esseri umani»; «diritto allo studio, lotta all’abbandono scolastico, annullamento del divario tecnologico e digitale»; «rispetto per gli anziani che non possono essere lasciati alla solitudine»; «contrastare le povertà, la precarietà disperata e senza orizzonte che purtroppo mortifica le speranze di tante persone»; «non dover essere costrette a scegliere tra lavoro e maternità»; «le carceri non siano sovraffollate e assicurino il reinserimento sociale dei detenuti»; «un Paese non distratto di fronte ai problemi quotidiani che le persone con disabilità devono affrontare»; «un Paese libero dalle mafie, dal ricatto della criminalità, libero anche dalla complicità di chi fa finta di non vedere»; «assicurare e garantire il diritto dei cittadini a un’informazione libera e indipendente».
E non va meglio quando poco prima parla della necessità di impegnarsi per «un’Italia più giusta, più moderna, intensamente legata ai popoli amici che ci attorniano». E che «cresca in unità. In cui le disuguaglianze – territoriali e sociali – che attraversano le nostre comunità vengano meno». Dove questa Italia «offra ai suoi giovani percorsi di vita nello studio e nel lavoro per garantire la coesione del nostro popolo»; e che «sappia superare il declino demografico a cui l’Europa sembra condannata».
Alzi la mano chi non è d’accordo
Peccato che forse sarebbe stato opportuno anche individuare il come realizzare tutto ciò oppure denunciare perché queste disuguaglianze attraversano le nostre comunità.
Non manca nemmeno un passaggio, anche questo abbastanza scontato, sull’Italia «Paese della bellezza, delle arti, della cultura». «Facciamo in modo che questo patrimonio di ingegno e di realizzazioni – da preservare e sostenere – divenga ancor più una risorsa capace di generare conoscenza, accrescimento morale e un fattore di sviluppo economico».
Tutto un falò, quindi? Non proprio tutto, perché almeno in due punti Mattarella è riuscito ad uscire dal banale. Quando ha puntato il dito contro la deriva della magistratura: «È indispensabile che le riforme annunciate giungano con immediatezza a compimento affinché il Consiglio Superiore della Magistratura possa svolgere appieno la funzione che gli è propria, valorizzando le indiscusse alte professionalità su cui la Magistratura può contare, superando logiche di appartenenza che, per dettato costituzionale, devono restare estranee all’Ordine giudiziario».
Significativo, poi, anche il passaggio sul ruolo del Parlamento e del rispetto delle sue prerogative: «Quel che appare comunque necessario – nell’indispensabile dialogo collaborativo tra Governo e Parlamento è che – particolarmente sugli atti fondamentali di governo del Paese – il Parlamento sia posto in condizione sempre di poterli esaminare e valutare con tempi adeguati. La forzata compressione dei tempi parlamentari rappresenta un rischio non certo minore di ingiustificate e dannose dilatazioni dei tempi».
Peccato però che qui la denuncia non basti
Infatti, perché se Mattarella ha ravvisato in questi sette anni di presidenza una forzata compressione dei tempi parlamentari e un Parlamento posto in condizione di non poter esaminare e valutare in tempi adeguati i provvedimenti, non è intervenuto? Perché non ha censurato questi comportamenti?
Insomma, non basta denunciare soprattutto se sei presidente della Repubblica. Altrimenti il rischio è quello che accanto al falò della vanità di leadership se ne accenda un altro. Appunto delle banalità.
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