Non è più il tempo degli Scalfaro o dei Napolitano
Lungi dall’essere blasfemi e confondere il materiale e lo spirituale, o il laico e il religioso, bisogna, però, sostanzialmente soffermarsi su l’enfasi con cui i giornalisti riempiono le pagine dei quotidiani per individuare quei percorsi carsici che adesso in molti si stanno dedicando e stanno scavando nei palazzi del potere italiano.
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Tuttavia bisogna questionare sul tema giacchè tutti sono lì a intravedere quale Italia risulterà da queste negoziazioni con troppi sotterfugi e da come i prossimi anni delineeranno un impianto istituzionale non più ancorato alla cultura del dopoguerra.
Credo che questo sia il versante da battere se non si vuole pensare ancora ad un presidente della Repubblica che sia solo garante della Costituzione da interpretare cavillosamente per garantire potere ai poteri di sempre ovvero ad una sorta di presidenzialismo di fatto che andrebbe a confliggere con i dettami della carta costituzionale, violando precise attribuzioni ed usurpando, inappropriatamente, funzioni e poteri oltrepassando la sfera della legittima pertinenza.
Qui sta il punto decisivo mediante il quale bisognerà capire se a ricoprire quel ruolo possa essere un politico o un tecnico, perché le due qualità darebbero luogo a due diverse intepretazioni che andrebbero a incidere in profondità sulla storia del nostro paese. Oggi in Italia la politica è molto debole, poiché non vi è diffusa e condivisa sensibilità sui valori di solidarietà, responsabilità e rispetto istituzionale.
Lo sprezzo dei canoni fondamentali della Repubblica Italiana
A tale riguardo va ricordato più di un episodio, a cominciare dal Presidente della commissione antimafia, Morra (5stelle), che ha fornito esempio di uno sprezzo di quei canonici fondamentali della Repubblica Italiana ovverosia l’osservanza applicativa dello stato di diritto, laddove non bisogna confondere funzioni separate e distinte e dove il potere legislativo non può assumersi funzioni giurisdizionali.
Invece questi, in più di un’occasione, con i poteri d’indagine propri della commissione che presiede applicati, però, in maniera impropria ha tentato di formulare capi d’accusa demandati alla funzione istituzionale degli organi giurisdizionali, o dare luogo a blitz (ad es. nell’organizzazione sanitaria calabrese), come a voler esercitare poteri senza porsi alcun limite e di cui non può avere né arrogarsi l’agibilità assoluta, senza alcun rispetto del sistema di regolazione vigente.
Beh… innanzi ad evenienze di questo tipo, la politica, attraverso un Presidente della Repubblica con forte caratura istituzionale, potrebbe essere utile a riacquistare la fiducia, precondizione di buon governo, dei cittadini, suggerendo ed orientando, attraverso l’applicazione della ‘moral suasion’, il riconoscimento di limiti istituzionali che rafforzerebbero l’autorevolezza delle attribuite potestà, perché riporterebbe severità e rigore, riservatezza e cura alle funzioni proprie che attendono allo stesso e che andrebbe ad esercitare nel sistema di riferimento. Su questo fronte vari nomi si potrebbero fare a cominciare da Casini a Pera.
Il premier Draghi e il ministro Cartabia
Di contro una diversa impostazione potrebbe prospettarsi ed è quella che porterebbe a far assumere ad un tecnico di ricoprire questo decisivo ruolo e qui due nomi appaiono plausibili, ovvero quelli di Draghi e Cartabia.
Certamente si tratta di figure dall’altissimo profilo che potrebbero traghettare la Repubblica Italiana fuori dai meandri del politichese, estranea ai ricatti sottotraccia in cui la dimensione politica è foriera di molteplici e manipolabili esperienze interpretative e di cui oggi, per un itinerario su cui fondare rinnovate speranze, non si sente alcun bisogno.
Qui bisogna essere chiari ovvero non si possono più battere le medesime strade del passato. Non è più il tempo degli Scalfaro o dei Napolitano, per cui va escluso Prodi.
Non è la stagione dei ricattabili e soprattutto deve essere il momento di innovazione fatta di cultura istituzionale capace di capire che le riforme suggerite dall’Europa devono avere radici forti e convinzioni profonde, atteso che, senza tali qualità, la tradizione giuridica italiana rischia di frantumarsi in minuscoli frammenti perché assume i contorni di uno stato senza sovranità, fagocitata da un’Europa senza prospettiva.
Ciò accadrebbe ove l’Europa, così com’è guarda oggi esclusivamente alla finanza senza guardare ai popoli, risulta essere incapace ad uscire dalle ideologie e dalle aporie trattatizie, facendoci rinchiudere nelle strette di una morsa a tenaglia fatta di affari globali e servilismo diffuso. Solo attraverso un virtuoso percorso si potrà costruire un’altra storia, in cui il diritto sia in grado di coniugarsi, fino a coincidere, con la giustizia e con la solidarietà. Non vi sono alternative.
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