Con politically correct e «comunicazione inclusiva» cresce solo l’ipocrisia

Con la pretesa di tenere dentro tutti e di non offendere nessuno sta soltanto diffondendo un generale sentimento di doppiezza

Nei giorni scorsi le linee guida per la «comunicazione inclusiva» pubblicate dalla Commissione europea hanno suscitato grande scalpore ed è sembrata ai più solo l’ultimo, in ordine di tempo, eccesso del politically correct che con la pretesa di tenere dentro tutti e di non offendere nessuno sta soltanto diffondendo un generale sentimento di ipocrisia.

Nel caso della Unione Europea, poi, si trattava di un condensato di ideologia gender e di un tentativo di eliminare ogni identità religiosa e culturale colpendo soprattutto l’identità cristiana attraverso un pacchetto di raccomandazioni sull’uso di un linguaggio «non discriminatorio» (sic!).

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Secondo gli autori di queste linee guida non si dovrà più utilizzare termini che danno per scontato il genere di una persona, come poliziotto o ingegnere, non si potrà dire «Signori e Signore» rischiando, poi, di offendere eventuali transgender presenti tra il pubblico e ci si dovrà rivolgere a una persona usando sempre il genere in cui si autoidentifica e meglio sarebbe se prima di rivolgersi a una persona si chiedesse: «Di che genere sei?».

La Commissione ci ingiunge, inoltre, di non dire «Il periodo di Natale» ma di utilizzare il più neutro «periodo delle vacanze». Attenti però a non usare nomi che richiamano troppo la tradizione “cristiana” per cui mai «Maria e Giovanni» meglio gli esotici «Malika e Julio».

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Non poteva mancare un attacco alla famiglia con l’invito e, quindi, il divieto di indicare le persone come sposate o single perché non sia mai qualcuno debba sentirsi offeso da ciò, quelli, invece, che credono nel valore della famiglia e nel rispetto della propria nazione quelli sì che possono, anzi, si devono offendere e poco importa.

Di fronte a questa follia non c’è da stupirsi che la loro pubblicazione ha generato enormi polemiche visto con il pretesto di «includere» di fatto si escludeva l’identità storica dell’Europa e le realtà più naturali (mamma, papà, uomo, donna, ecc.), se in nome dell’inclusione delle minoranze di fatto si esclude e si offende la maggioranza degli europei, coloro, cioè, che si sentono almeno culturalmente cristiani nonchè la maggioranza di persone che si identificano in maschi o femmine.

Giorgia Meloni ha reagito senza giri di parole: «Ora basta: la nostra storia e la nostra identità non si cancellano», mentre Susanna Ceccardi, europarlamentare leghista, ha dichiarato: «Soltanto la mente di un burocrate può portare la discussione ad un livello di follia tale da rimettere in discussione l’esistenza stessa del Natale».

La Commissione europea di fronte alla indignazione generale ha poi ritirato le indicazioni per la comunicazione esterna e interna dell’Ue. Questione conclusa? Niente affatto se si considera che la commissaria Ue all’Uguaglianza Helena Dalli, supervisor delle raccomandazioni finite nella bufera contestualmente ha promesso (o minacciato?) che continueranno ancora a lavorare sul documento.

Quello che a mio avviso deve far riflettere non è tanto l’indicazione circa l’utilizzo delle parole con cui ci si riferisce ad una specifica religione, agli anziani, ai signori e alle signore, e, in definitiva, agli altri, ma l’ostinazione con la quale si persegue il progetto di cancellare la nostra cultura, la nostra identità e le nostre tradizioni con atteggiamenti di piaggeria di fronte a valori estranei all’Europa e all’Occidente, un atteggiamento che dimostra di come l’Ue, anziché difendere l’Europa, sembra impegnata nella sua distruzione.

Quello che si respira oggi è un clima di caccia alle streghe che domina nel mondo della cultura e dei media, la nuova intolleranza degli estremisti dell’antirazzismo e dei demolitori di statue, di tutti coloro che guidano «epurazioni» nelle redazioni, censurano le opinioni diverse, impongono un pensiero unico, politically correnti appunto.

Oggi in nome di una utopica correttezza si mette in discussione il bacio del vero amore che il Principe dà a Biancaneve considerato non consenziente perché avviene mentre lei sta dormendo, oppure la rappresentazione del Babbo Natale gay ritratto nella pubblicità delle poste norvegesi mentre bacia un uomo, ma anche i tanti episodi che in nome del cancel culture ha consentito che negli USA si abbattessero le statue dei personaggi storici non risparmiando neanche quella di Cristoforo Colombo.

Lo storico Alessandro Barbero ha definito certi atteggiamenti razzisti «che tradiscono il vizio tipicamente occidentale di voler usare le tracce del passato per parlare dell’oggi» e che è discriminatorio nei suoi intenti, il voler affermare cioè «noi siamo migliori degli altri» in nome della costruzione di un «meccanismo del politicamente corretto».

La domanda che tutti ci poniamo e se questi atteggiamenti e queste contrapposizioni sono utili a costruire un mondo migliore? La mia risposta è no, non è che attraverso la dittatura del pensiero unico o con il ribaltamento delle categorie sociali e culturali che raggiungeremo il vero obiettivo che deve essere alla base dell’umanità che è la giustizia sociale.

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