I partiti assediano Draghi sulla manovra ma lui cerca un accordo
Seimila e duecento emendamenti e di questi oltre 5mila soltanto della maggioranza. Si è chiuso ieri il primo tempo della manovra di bilancio, che da oggi inizia il suo iter in Commissione al Senato e che dovrebbe concludersi a ridosso del Natale. Ma dalle prime avvisaglie chi sembra uscirne malconcio è proprio il governo. Infatti, questa valanga di migliaia di emendamenti se non suona come una bocciatura deve essere percepita da parte di Mario Draghi quanto meno come un campanello d’allarme.
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Quasi mai si era vista una maggioranza così scontenta del lavoro del proprio governo sulla legge di Bilancio, al punto che i 785 emendamenti di Fratelli d’Italia quasi si perdono nel mare delle migliaia di proposte di modifiche dei partiti di governo. A spiccare è Forza Italia che ha sfondato il tetto dei mille emendamenti, e questo senza contare l’abbandono dei lavori in Commissione dopo l’esclusione dalla terna dei relatori.
Poco sotto ai mille M5S e Lega mentre il Pd si è fermato a 865 emendamenti. Insomma, la lotteria degli emendamenti rilascia l’immagine di un Palazzo Chigi assediato dai partiti intenti, come qualcuno ha osservato, a volersi riprendere la scena e soprattutto rivalersi nei confronti di un Draghi che finora in troppe occasioni ha deciso autonomamente, imponendo le sue scelte.
Ecco la manovra diventa l’occasione di rivincita della partitocrazia, e ciò ancora di più dinanzi all’ipotesi che questa potrebbe essere l’ultima manovra della Legislatura nel caso Draghi davvero decidesse di traslocare al Quirinale. Chiaro, perciò, che i partiti cerchino di guadagnare spazi.
Draghi convoca i partiti della maggioranza
Di contro c’è Palazzo Chigi con Mario Draghi il quale avendo già capito l’antifona piuttosto che giocare in difesa ha subito scelto di attaccare, convocando i partiti in una sorta di consultazioni a mò di Quirinale con tanto di calendario delle convocazioni. Ieri, ad esempio, è stata la volta del M5S ed oggi toccherà a Pd, Lega e Forza. Per poi concludere domani con gli altri partiti della coalizione.
Un modo per cercare di stemperare le tensioni ed evitare l’effetto bandierine che avrebbe come unica conseguenza quella di rendere la manovra un immenso campo di battaglia, dove le varie forze della maggioranza cercherebbero di strappare qualche concessione.
Invece, Draghi ha subito voluto far capire che la manovra così com’è con i suoi fondamentali non può cambiare. Al massimo sono possibili degli aggiustamenti e con i 600 milioni a disposizione consentire alle singole forze in Parlamento di intestarsi qualche battaglia.
È chiaro, però, che è tutto da vedere se Draghi riuscirà nel suo tentativo di proteggere la sua manovra. Per ora l’incontro con il M5S è andato bene. Il ministro Patuanelli in maniera trionfante appena uscito ha rassicurato che «il reddito di cittadinanza non si tocca» e che su questo punto il premier «è d’accordo». E meno male che bisognava evitare la guerra delle bandierine.
Per il resto, comunque, il M5S ha dato la sua disponibilità a rivedere gli emendamenti presentati, assicurando inoltre di «condividere i principi di questa manovra». La sensazione è che i Cinquestelle non si spingeranno oltre avendo incassato il risultato più importante, quello sul reddito di cittadinanza. Al massimo porterà avanti la richiesta di intervenire sul limite Isee per l’accesso al superbonus.
Come detto oggi toccherà a Lega, Pd e Forza Italia
Anche qui bisognerà trovare una quadra con i leghisti che chiedono di intervenire sul reddito di cittadinanza per recuperare risorse al fine di finanziare interventi sulla pressione fiscale e sul caro bollette; mentre Forza Italia chiede esplicitamente due miliardi in più da mettere sul taglio delle tasse.
Non sarà facile. Intanto, si mette male la partita con i sindacati che ufficialmente, dopo l’incontro di ieri, hanno bocciato la manovra. Dure critiche verso una manovra giudicata «negativa» perché non taglia le tasse a favore dei redditi medi e bassi, dei lavoratori dipendenti e dei pensionati. Anzi per Landini quanto proposto dal governo «è il contrario della progressività». Morale della favola la mobilitazione continuerà.
Nessuna norma ad hoc per il Comune di Napoli
Ultimo, ma non per importanza, c’è il caso ‘Patto per Napoli’ e cioè l’emendamento che dovrebbe salvare il Comune dalla bancarotta e consentire all’amministrazione Manfredi di mettere in cantiere i primi interventi. Ieri Il Mattino dava conto di questo emendamento, raccontando di averlo visionato. Si tratterebbe non di un vero e proprio ‘salva Napoli’, quanto piuttosto l’accollo da parte dello Stato di una parte del debito, circa 1 miliardo. Una misura che non riguarderebbe soltanto Napoli ma i comuni capoluogo delle città metropolitane. Quindi nessuna norma ad hoc.
Vedremo se tra i 5mila emendamenti ci sarà pure questo, anche se si parla che possano essere più di uno. Quello che è certo è che negli ultimi tempi i contatti tra governo e amministrazione comunale si sono fatti sempre più fitti; così come anche le trasferte dell’assessore Baretta al Mef, che peraltro conosce benissimo per esserne stato nella scorsa legislatura sottosegretario.
Sia chiaro nessuno qui si augura il fallimento di Napoli, rimane però che un conto è il dato contabile un altro è quello politico. Giusto evitare che il Comune porti i libri in Tribunale e dichiari la bancarotta, ma questo non può trasformarsi in un salvacondotto politico per chi ha amministrato finora Palazzo San Giacomo. Si deve aprire un processo su chi e come ha gestito la città, perché se oggi Napoli è alla canna del gas qualcuno deve risponderne. Non vorremmo, infatti, che tutto si risolvesse nel classico «Chi ha avuto ha avuto ha avuto, chi ha dato ha dato ha dato, scurdàmmoce ‘o passato, simmo ‘e Napule, paisa’».
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