Pompei, a Civita Giuliana scoperta la stanza degli schiavi

di Redazione

Il ritrovamento dagli ulteriori lavori nella villa dove erano già emersi un carro cerimoniale e una stalla

Dagli scavi della villa di Civita Giuliana emerge un nuovo ambiente in eccezionale stato di conservazione: la stanza degli schiavi, una stanza destinata agli schiavi che lavoravano nella villa. Lo rende noto un comunicato del Parco Archeologico di Pompei. Nella villa suburbana, indagata dal 2017, sono già emersi – nel quartiere servile – un carro cerimoniale e una stalla con i resti di 3 equini, di uno dei quali è stato possibile realizzare il calco. A completare il contesto di questi ambienti, l’ultimo rinvenimento di una stanza destinata agli schiavi che lavoravano nella villa.

Uno sguardo straordinario su una parte del mondo antico che normalmente rimane all’oscuro: la stanza offre uno spaccato rarissimo della realtà quotidiana degli schiavi, grazie allo stato di conservazione eccezionale dell’ambiente e alla possibilità di realizzare calchi in gesso di letti e altri oggetti in materiali deperibili che hanno lasciato la loro impronta nella cinerite che ha coperto le strutture antiche.

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Il rinvenimento è avvenuto non lontano dal portico dove, nel mese di gennaio 2021, fu scoperto un carro cerimoniale che attualmente è oggetto di interventi di consolidamento e restauro. A pochi passi dal luogo in cui il prezioso veicolo fu parcheggiato e non lontano dalla vicina stalla scavata nel 2018, ora emerge uno degli alloggi modesti degli addetti che si occupavano del lavoro quotidiano in una villa romana, inclusa la manutenzione e la preparazione del carro.

Nella stanza degli schiavi tre brandinte e un timone di carro

Nell’ambiente, dove sono state trovate tre brandine in legno, infatti, è stata rinvenuta una cassa lignea contenente oggetti in metallo e in tessuto che sembrano far parte dei finimenti dei cavalli. Inoltre, appoggiato su uno dei letti, è stato trovato un timone di un carro, di cui è stato effettuato un calco.

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I letti sono composti da poche assi lignee sommariamente lavorate che potevano essere assembrate a seconda dell’altezza di chi li usava. Mentre due hanno una lunghezza pari a 1,70 m circa, un letto misura appena 1,40 m per cui potrebbe essere di un ragazzo o di un bambino. La rete dei letti è formata da corde di cui le impronte sono parzialmente leggibili nella cinerite e al di sopra delle quali furono messi coperte in tessuto, anch’esse conservate come cavità nel terreno e restituite attraverso il metodo dei calchi.

Al di sotto delle brandine si trovavano pochi oggetti personali, tra cui anfore poggiate per conservare possedimenti privati, brocche in ceramica e il “vaso da notte.” L’ambiente era illuminato da una piccola finestra in alto e non presentava decorazioni parietali. Oltre a fungere da dormitorio per un gruppo di schiavi, forse una piccola famiglia come lascerebbe intuire la brandina a misura di bambino, l’ambiente serviva come ripostiglio, come dimostrano otto anfore stipate negli angoli lascati appositamente liberi per tal scopo.

Zuchtriegel: «Una via di mezzo tra dormitorio e ripostiglio»

«Si tratta di una finestra nella realtà precaria di persone che appaiono raramente nelle fonti storiche, scritte quasi esclusivamente da uomini appartenenti all’élite, e che per questo rischiano di rimanere invisibili nei grandi racconti storici. – dichiara il Direttore Generale, Gabriel Zuchtriegel È un caso in cui l’archeologia ci aiuta a scoprire una parte del mondo antico che conosciamo poco, ma che è estremamente importante».

«Quello che colpisce – sottolinea – è l’angustia e la precarietà di cui parla questo ambiente, una via di mezzo tra dormitorio e ripostiglio di appena 16 mq, che possiamo ora ricostruire grazie alle condizioni eccezionali di conservazione create dall’eruzione del 79 d.C. È sicuramente una delle scoperte più emozionanti nella mia vita da archeologo, anche senza la presenza di grandi ‘tesori’: il tesoro vero è l’esperienza umana, in questo casodei più deboli della società antica,di cui questo ambiente fornisce una testimonianzaunica»

Fragliasso: «Sinergia tra la Direzione del Parco Archeologico di Pompei e la Procura»

Lo scavo dell’ambiente rientra in un’attività che il Parco Archeologico di Pompei sta portando avanti insieme alla Procura di Torre Annunziata, guidata dal Procuratore capo Nunzio Fragliasso.

«L’ulteriore significativo ritrovamento negli scavi di Civita Giuliana – dichiara il Procuratore capo, Nunzio Fragliassoè l’ennesima conferma della sinergia tra la Direzione del Parco Archeologico di Pompei e la Procura della Repubblica di Torre Annunziata e della efficacia del protocollo d’intesa stipulato tra le suddette Istituzioni, che, con il prezioso apporto dell’Arma dei Carabinieri, ha portato, da un lato, alla condanna in primo grado degli autori degli scavi abusivi di Civita Giuliana e, dall’altro, al rinvenimento di beni archeologici di eccezionale rilevanza»

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