Banco di Napoli, dove sono finiti gli 11.400 miliardi di lire di crediti inesigibili che la Sga ha recuperato?

di Mimmo Della Corte

Visco commissaria la Banca del Sud per 12milioni di crediti inesigibili, ma non vede i 23miliardi di sprechi pubblici per salvare il Montepaschi

Dopo il Banco di Napoli, ora è la Banca del Sud (il cui capitale sociale è detenuto al 21% dalla Fondazione Banco di Napoli) a rischiare di essere fagocitata da qualche banca del Nord.

Una fagocitazione figlia dello strabismo italico, e un pregiudizio e diffidenza nei confronti del Sud, coperta dalla ricerca di un partner strategico, certamente più accettabile e meno offensiva che, comunque, non ne cambia l’obiettivo recondito di continuare a depauperare il Mezzogiorno del suo patrimonio. E non dimentichiamo che la stessa sorte si sta preparando per la Banca Regionale di Sviluppo, in precedenza Banca Popolare di Sviluppo.

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Ma andiamo con ordine, cominciando con il dire che quando si dice Banco di Napoli – non ci si riferisce ad una «bancarella del torrone», ma così è stato trattato, forse perché dava fastidio ai mostri sacri del credito settentrionali – bensì al massimo Istituto di credito meridionale, nato da banchi pubblici e opere pie tra il XV e il XVIII secolo. Tradizionalmente, infatti, la sua fondazione viene fatta risalire al 1539 in coincidenza con la costituzione del Monte di Pietà.

Ma successivamente, il professore Domenico De Marco, esperto di Storia Economica ed Accademico dei Lincei, e Eduardo Nappi, che studia e lavora per l’Archivio Storico, hanno ritrovato documenti riguardanti la cassa di deposito della Casa Santa dell’Annunziata che ne fanno retrodatare la nascita al 1463. Che i Borbone elevarono al rango di istituto di emessione ed autorizzato a battere moneta.

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Banco di Napoli, una storia svenduta alla Banca Nazionale del Lavoro

Una storia, quindi, lunga più di 500 anni e conclusa con una svendita alla Banca Nazionale del Lavoro, per appena 63 miliardi (si pensi che solo lo storico palazzo di via Toledo, sede centrale della banca, valeva quasi 100 miliardi) e solo dopo aver scorporato dal bilancio aziendali 17.400 miliardi di lire di crediti ritenuti inesigibili, ceduti per 12.500 miliardi alla Sga per recuperarli, dei quali la Sga ha recuperato il 94% (11.750 miliardi). Dove sono finiti questi fondi?

Al Mef che nel 2016 ha acquisito per 600.000 euro (450.000 dei quali, sono serviti a foraggiare il Fondo Atlante e, quindi, a coprire le perdite della B. pop. di Vicenza e Veneto Banca) l’intero capitale azionario della Sga e, quindi, il patrimonio riveniente dal recupero dei crediti. Un’operazione nella quale hanno guadagnato tutti, la Bnl che, due anni dopo aver acquisito con appena 63miliardi il Banco di Napoli, lo rivendette per ben 1.700 miliardi all’Intesa San Paolo-Imi e quest’ultimo, dopo altri due anni decise un investimento di 4.000miliardi per accaparrarsi tutta la fetta del mercato meridionale detenuta dal Banco di Napoli.

Il commissariamento della Banca del Sud

Poi è toccato alla Banca del Sud, commissariata – a soli 40 giorni dall’insediamento del nuovo cda e proprio mentre stava per presentare il piano di rafforzamento e capitalizzazione attraverso l’ingresso di nuovi soci che, però, la Banca d’Italia, o meglio i due commissari Paolo D’Alessio e Livia Casale avevano definito «poco affidabili», denunciando, inoltre, l’«inadeguatezza della governance» – per un passivo di appena 12,8 milioni di crediti deteriorati (quisquilie, rispetto agli oltre 10miliardi di crediti inesigibili del MPS da sempre gestito, si fa per dire, da Pci-Pds e ora Pd per il quale il governo ha già sprecato ben 23,5 miliardi e non è ancora finita). Anzi.

Ma il governatore di Bankitalia, il napoletano Vincenzo Visco, si è guardato bene dal proporne il commissariamento. Così come non lo ha chiesto per le banche: Etruria, Marche, Chieti e Ferrara, fallite, con 140mila risparmiatori che hanno perso ben 430 milioni di euro.

In verità, i due summenzionati commissari, a luglio avevano promesso che la nuova proprietà (o partner strategico) sarebbe stata reso nota a settembre, ma siamo a novembre e ancora non si conosce, ma lo si saprà se non entro l’anno, nel prossimo. Poiché «non c’è due senza tre», la stessa sorte attende anche alla Banca regionale di Sviluppo già Banca Popolare di Sviluppo, anch’essa meridionale. Anzi napoletane. Con l’ulteriore desertificazione del mercato creditizio l’ulteriore assottigliamento del sostegno finanziario alle imprese dell’Italia del tacco.

Il tutto nel silenzio più totale dei politici meridionali e soprattutto dei 12 (su 39) tra deputati e senatori eletti al Sud della Commissione parlamentare di Vigilanza sulla banche: Giuseppe Buompane (Campania); Bernardo Tucci (Calabria); Gianmauro Dell’Olio (M5S); Stanislao Di Piazza, (Sicilia); Marco Pellegrini (Puglia); Francesco Castiello (Campania) tutti M5S; Antonio Martino (Abrusso) FI; Ubaldo Pagano (Puglia) Pd; Renato Schifani (Sicilia) Fibp-Ud; Gaetano Quagliariello (Abruzzo) Idea-Cambiamo; Elio Lannutti (Abruzzo) Misto; Maurizio Buccarella (Puglia) Misto.

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