Game over. Sul ddl Zan cala il sipario

di Dario Caselli

Addio al ddl Zan, al Senato sinistra e M5S battuti dal centrodestra e dai franchi tiratori. Sconfitta l’arroganza del muro contro muro

Game over. Sul ddl Zan è calato definitivamente il sipario. Infatti, ieri il Senato con 23 voti di scarto ha approvato la richiesta della Lega, ma anche Fratelli d’Italia ne aveva presentato una analoga, di non passaggio agli articoli. Per gli addetti ai lavori la cosiddetta ‘tagliola’ che una volta approvata blocca l’esame del provvedimento e lo rispedisce in Commissione. Il che equivale al capolinea.

Quello che nei fatti è accaduto ieri, un po’ anche a sorpresa visto che soprattutto nel centrosinistra c’era la convinzione di avere un margine di vantaggio di una decina di voti. Ed invece alla conta finale, segreta, a mancare sono stati i voti proprio tra le fila della sinistra e del M5S.

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Si chiude così un lungo braccio di ferro su un disegno di legge controverso che aveva spaccato in maniera trasversale la politica italiana e creato fortissime polarizzazioni. Senza contare anche la stessa Cei che si era espressa in maniera fortemente critica sul disegno di legge riguardo alcuni passaggi, vedi l’educazione gender nelle scuole, che appunto aveva destano più di qualche perplessità.

Una battaglia lungo un intero anno, che per la verità sarebbe potuto essere anche più breve se soltanto l’esame non fosse stato posticipato per le amministrative.

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Ad esultare, chiaramente, il centrodestra che mai come in questa occasione si è fatto trovare in Aula compatto, al punto che lo stesso Zan ha parlato di «prove generale per l’elezione del presidente della Repubblica». In realtà, quanto accaduto ieri a Palazzo Madama ha una lettura e un’analisi più complessa. Senza dubbio chi esce sconfitto da questo confronto è il centrosinistra, il quale anziché fare una doverosa analisi dei propri errori preferisce attaccare la destra.

Zan, Letta: «Hanno fermato il futuro con i loro inguacchi»

«Oggi gli italiani hanno visto cosa sarebbe l’Italia governata a maggioranza da queste destre. Cosa sarebbe un Parlamento allineato con gli attuali Parlamenti ungherese e polacco», ha detto il segretario del Pd, Enrico Letta, il quale continuando: «Hanno vinto loro. Hanno fermato il futuro con i loro inguacchi». Insomma, nessun esame di coscienza ma piuttosto la denigrazione del voto, che come al solito se non piace alla sinistra è immorale, e la ricerca del colpevole. Caccia alle streghe che ha come obiettivo Italia Viva e Matteo Renzi, colpevole secondo molti di aver trescato con il centrodestra.

Renzi: «Bastava conoscere l’aritmetica»

Accuse che lo stesso ex premier ha subito respinto al mittente, spiegando a taccuini chiusi di avere per mesi «chiesto di trovare un accordo per evitare di far fallire il ddl Zan. Hanno voluto lo scontro e queste sono le conseguenze. Chi polemizza sulle assenze dovrebbe fare i conti con i 40 franchi tiratori. La responsabilità di oggi è chiara: e dire che per Pd e Cinque Stelle stavolta era facile, più facile dei tempi di ‘O Conte o morte’. Non importava conoscere la politica, bastava conoscere l’aritmetica».

Ricostruzione più che verosimile visto che proprio all’interno del Pd i musi lunghi per la strategia del muro contro muro erano molti ed anche ben evidenti. In più occasioni, infatti, erano giunti segnali di insofferenza ai piani alti del Nazareno e la richiesta di evitare l’arroccamento sul testo così come uscito dalla Camera.

Richieste al dialogo che però non sono mai state accolte, se non nelle ultime ore prima del voto di ieri anche se più di qualcuno dubita sulla veridicità di tale disponibilità al confronto. L’aver delegato a Zan, riflettono in molti, la trattativa è parsa più un’operazione di facciata che di sostanza. Meglio sarebbe stato affidare la delicata pratica a una persona meno coinvolta e soprattutto pronta ad intavolare una vera trattativa. Cosa che invece non è avvenuta e lasciando che si andasse in Aula in un clima da corrida.

Una strategia studiata a tavolino?

Una strategia fallimentare visto il risultato finale, che però secondo qualcuno potrebbe essere stata decisa accuratamente a tavolino proprio per affossare il ddl. Una spiegazione che è iniziata a circolare qualche minuto dopo il voto, e che suonerebbe così: il segretario del Pd resosi conto del vicolo cieco nel quale si era messo, stretto da un lato dai moderati del suo partito e dall’altro dall’intero mondo e associazionismo cattolico, avrebbe ritenuto che il male minore era proprio la bocciatura del ddl in Aula. Bocciatura a cui ci avrebbe pensato il centrodestra, lasciando però a lui la palma del campione dei diritti.

Meloni: «Una follia di cui l’Italia non aveva alcun bisogno»

Comunque sia, resta il fallimento del centrosinistra o, come spiega Luca Ciriani capigruppo di Fratelli d’Italia al Senato, «la lezione all’arroganza di sinistra e M5S, che hanno preteso che il Senato non dovesse discutere e modificare un testo palesemente sbagliato». E Giorgia Meloni chiarisce: «È una vittoria che non appartiene solo a noi ma anche a tutte le realtà, le associazioni, le famiglie e i cittadini che in questi mesi si sono battuti ad ogni livello per denunciare follie, contraddizioni e aspetti negativi di una follia firmata Pd-Cinquestelle di cui l’Italia non aveva alcun bisogno».

Salvini: «Affossato per i calcoli sbagliati»

Dal canto suo anche Matteo Salvini si intesta la vittoria ribadendo che «il ddl Zan è stato affossato per i calcoli sbagliati del Pd: ora togliamo i bambini, i nuovi reati e il dibattito sull’identità di genere. Hanno deciso di andare allo scontro, dopo mesi che avevamo avvisato ed è finita così. Ora proporrò al centrodestra di ripartire dal nostro testo».

Ma è proprio il futuro, e non tanto della legge sul contrasto all’omofobia, adesso ad interessare. Il punto è che l’affondamento del ddl Zan conferma anche il livello di ingestibilità dei parlamentari e la sempre maggiore balcanizzazione dei gruppi, a partire proprio del M5S. Dall’altro il voto di ieri ha anche confermato che l’asse tra Pd e Cinquestelle è ben lontano dall’essere autosufficiente e quanto sia strategico il ruolo di Renzi e dei tanti peones presenti nei due gruppi misti di Camera e Senato. Tutti elementi che hanno pesato nel voto di ieri sul ddl Zan e che in ottica di elezione del presidente della Repubblica avranno ancora maggiore rilevanza.

Insomma, qualsiasi strategia non potrà prescindere da tutto ciò. E questo vale ancora di più nell’ipotesi di fine anticipata della legislatura. Elementi che contribuiscono a rendere ancora più incerti i prossimi appuntamenti in Parlamento e i futuri scenari.

La manovra in Consiglio dei ministri

Comunque, almeno per il momento il cammino del governo sembra essere al sicuro. Il premier Draghi oggi porterà in Consiglio dei ministri la manovra per l’approvazione finale. Sul nodo più delicato, quello delle pensioni, la cabina di regia dovrebbe aver raggiunto un’intesa su un regime transitorio per il 2022 a quota 102. Una soluzione che soddisfa la Lega ma che potrebbe anche diventare un segnale di distensione verso i sindacati. Infatti, in questo modo si potrebbe aprire lo spiraglio nel prossimo anno di rivedere la flessibilità in uscita. Non proprio la riforma della Fornero, come chiedono i sindacati, ma comunque la possibilità nel 2022 di ritornare a confrontarsi sul tema e chiedere ulteriori modifiche.

Setaro

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