La consigliera regionale: «Depotenziato durante l’emergenza Covid, oggi deve tornare a essere un riferimento per i malati terminali»
«Il reparto di terapia del dolore e cure palliative del Cardarelli è stato per anni un riferimento fondamentale per le cure palliative ai malati terminali. L’emergenza Covid ne ha comportato l’accorpamento con altri reparti, con il personale medico che è passato da 5 a 2 unità, con sole due stanze e appena quattro posti letto». Lo afferma la consigliera regionale del Movimento 5 Stelle Maria Muscarà.
«Quella della terapia del dolore del Cardarelli è stata, tra l’altro, la prima struttura del genere al Centrosud e la sua presenza ha consentito di raggiungere obiettivi che vanno al di là dell’assistenza sanitaria, ottenendo riconoscimenti scientifici anche a livello internazionale e generando, tra l’altro, risparmi quantificati in circa 4 milioni e 800 mila euro annui. Mi unisco all’appello del dottor Vincenzo Montrone, già primario del reparto, che si sta battendo da mesi perché l’Unità torni operativa come lo era prima dell’esplosione dell’emergenza pandemica» denuncia la consigliera regionale che sulla questione ha presentato un’interrogazione alla giunta regionale.
Muscarà: «L’offerta di cure palliative in Campania è insoddisfacente»
«Giova ricordare – scrive Muscarà nella sua interrogazione – che l’offerta di cure palliative in Campania è insoddisfacente nei tre livelli di assistenza (residenziale, ambulatoriale e domiciliare), a fronte di un numero di malati terminali stimato in circa 20mila l’anno, a cui si aggiungono quelli affetti da forme inguaribili di patologie non oncologiche, neurologiche, polmonari, infettive e metaboliche».
«L’insufficienza di strutture specializzate determina il ricorso a livelli di cure inappropriati, come ricoveri in rianimazione, nelle medicine e in altri reparti che sarebbero deputati ad altro, generando uno spreco di risorse, tenuto conto che il costo giornaliero di un ricovero in un reparto come quello per la terapia del dolore varia dai 252 ai 385 euro, contro i 2mila euro di una rianimazione. Senza dimenticare l’assoluta inadeguatezza delle cure, tenuto conto che i pazienti vengono ospitati in contesti estremamente medicalizzati e scarsamente umanizzati» conclude la Muscarà.
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