Un solo carcere in Italia prevede la possibilità che i ristretti incontrino i propri cari in riservatezza
Oltre trent’anni di vuoto normativo che fanno dell’Italia uno degli Stati più arretrati del mondo occidentale in materia di diritti dei detenuti. Nel nostro Paese un solo carcere, quello di Milano Opera, prevede ad oggi la possibilità che i ristretti incontrino i propri cari in condizioni di riservatezza. Dunque, niente affettività e niente rapporti intimi.
Il tutto nonostante già nel 1986 fosse stata avanzata, con la proposta di legge 653, l’idea di adibire «talune celle, in ciascun istituto penitenziario, all’esercizio dell’intimità di coppia del detenuto, affinché a quest’ultimo fosse consentito di proseguire i propri legami preesistenti, al pari di quanto avviene in Spagna, rendendo il regime di detenzione maggiormente a misura d’uomo».
Da allora quasi nulla è cambiato e oggi la misura sembra essere davvero colma. Parola del presidente Alexandro Maria Tirelli, presidente delle Camere Penali del Diritto europeo e internazionale.
Di occasioni mancate, soprattutto a causa del disinteresse della classe politica, ce ne sono state purtroppo molte: «Gli Stati Generali dell’Esecuzione Penale istituiti nel 2015 – ricorda l’avvocato Tirelli – dopo l’ennesima condanna pronunciata dalla Corte Europea dei diritti umani nei confronti dell’Italia, hanno proposto l’introduzione dell’istituto della visita, diverso dal colloquio, da svolgersi in forma riservata, senza cioè alcun controllo audio-visivo, nelle cosiddette stanze dell’affettività, comode e strumentali unità abitative, edificate o ricavate in ogni istituto penitenziario, le cui manutenzione e pulizia siano affidate direttamente ai detenuti che ne fruiscano per un adeguato e sufficiente lasso temporale».
La pena rischia puntualmente di essere tutt’altro che rieducativa
Quella proposta si è però ben presto risolta in un nulla di fatto: «Il progetto è stato incomprensibilmente accantonato nel 2018, con una riforma dell’ordinamento che si è limitata a dire, sull’argomento, che i luoghi adibiti ai colloqui dovrebbero garantire dove possibile, una dimensione riservata. Il disegno di legge 1876, all’articolo 1, tratta di affettività e sessualità stabilendo quanto segue che «particolare cura è dedicata a coltivare i rapporti affettivi. A tale fine i detenuti e gli internati hanno diritto ad una visita al mese, della durata minima di sei ore e massima di ventiquattro ore, delle persone autorizzate ai colloqui. Le visite si svolgono in apposite unità abitative appositamente attrezzate all’interno degli istituti penitenziari senza controlli visivi e auditivi».
Una quadro drammatico, a causa del quale la pena rischia puntualmente di essere tutt’altro che rieducativa. Per questo motivo il presidente delle Camere Penali del Diritto europeo e internazionale ritiene «irrinunciabile e non più procrastinabile, anche nel nostro Paese, una riforma che contempli questo aspetto, unanimemente ritenendosi la sessualità, oggi, una componente inalienabile della personalità di ognuno, da colui che si mostri ligio alle regole a colui che le abbia invece infrante».
L’avvocato Tirelli chiama dunque in causa i due rami del Parlamento affinché si facciano carico di risolvere un’impasse che si trascina ormai da troppi anni: «È necessario che al più presto riempia quel recipiente che è l’articolo 2 della Costituzione attraverso una modifica della legge sull’ordinamento penitenziario, perché esso possa finalmente, anche formalmente, accogliere il riconoscimento di questo diritto fondamentale, dimensione naturale e necessaria di ogni persona e non concessione da parte di uno Stato che pretende di essere uno Stato di diritto».