Afghanistan, la storia è maestra di vita, ma i suoi alunni sono pochi

di Nuccio Carrara*

Si è scelto di fuggire a gambe levate e abbandonare al loro destino quanti avevano creduto negli occidentali e nella loro missione di pace

Fiumi d’inchiostro sono già stati versati, per non parlare dei lunghi dibattiti televisivi, per cercare di capire come sia stato possibile che l’esercito più forte del mondo abbia potuto fuggire ignominiosamente dall’Afghanistan segnando una nuova tappa nella lunga storia del disonore militare americano.

Sembrava che lo scacco della Baia dei Porci a Cuba nel 1961, e l’umiliazione subita in Vietnam con il precipitoso abbandono di Saigon nel 1974, fossero ormai episodi lontani e quasi dimenticati.

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Eppure un’orda di caproni violenti e male armati ha dimostrato che in poco più di due mesi è stato possibile riconquistare il territorio perso vent’anni fa quando cominciò la lotta al terrorismo islamico guidato da Bin Laden capo indiscusso dei talebani.

Questi, dopo l’avvio del ritiro delle truppe alleate, non hanno incontrato resistenza alcuna nell’esercito regolare afghano, armato ed addestrato dagli occidentali, al quale era stato affidato il controllo del territorio e la stabilità di un governo fantoccio. Non c’è stato neppure un colpo di reni delle forze statunitensi, che avrebbero potuto quantomeno rallentare la loro poco irresistibile marcia verso Kabul, per favorire un ordinato ritiro delle truppe ed una sicura evacuazione dei civili, soprattutto donne e bambini.

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Si è scelto, invece, di fuggire a gambe levate e abbandonare al loro destino quanti avevano creduto negli occidentali e nella loro missione di pace, alla quale molti avevano collaborato attivamente. La rappresaglia contro i “collaborazionisti” è in corso, anche se non del tutto offerta agli occhi delle telecamere, e sono ripresi gli attentati suicidi e le stragi in nome di Allah.

Le lacrime e la sete di vendetta

Biden risponde con lacrime di coccodrillo che danno la misura di una nazione umiliata e impotente agli occhi del mondo. Le sue minacce e la sua sete di vendetta trovano sfogo negli “omicidi mirati” di veri o presunti capi talebani, senza risparmiare vittime innocenti, come donne e bambini, rubricate come “danni collaterali” delle sue bombe “intelligenti”. Tutto ciò non fa che mostrare una tardiva presa di coscienza che lo rende poco credibile e persino patetico.

Ormai la frittata è fatta e, nel disordine della disfatta, in mano ai talebani sono rimasti aerei, elicotteri, carri armati, mezzi blindati, armi di ultima generazione, munizioni ed interi arsenali che potenzialmente possono trasformare le bande degli “studenti coranici” in un esercito bene armato e difficile da contrastare qualora si volesse “esportare” nuovamente la democrazia da quelle parti. I lacrimevoli appelli ai diritti delle donne, calpestati dall’islam estremista, lasciano ormai il tempo che trovano, e sicuramente non troveranno orecchie disposte ad ascoltarli tra i feroci barbuti cui ci si vorrebbe rivolgere.

Nessun insegnamento è stato tratto dal fallimento dell’occupazione inglese del 1839 e di quella sovietica del 1979.

Anche le dissertazioni sui futuri assetti geopolitici e sullo sfruttamento delle enormi risorse minerarie dell’Afghanistan non tengono conto delle ragioni di fondo che hanno portato all’attuale incresciosa situazione.

La dissoluzione dell’esercito regolare afgano, che si è praticamente arreso nonostante la sua superiorità militare e talvolta anche senza neppure uno sparo di circostanza, dimostra quanto poco gradita sia stata l’occupazione delle truppe americane e alleate in quei territori. Le popolazioni afgane non hanno opposto resistenza al ritorno del regime talebano, non si sono dimostrate disposte a lottare per la libertà e i “valori” occidentali.

Quali valori, poi? quelli di una società “libera”, ispirata ai principi del turbo-capitalismo e che incita alla competitività estrema tra individui e popolazioni, cioè alla guerra economica di tutti contro tutti, che è anche premessa di guerre “umanitarie” che sfociano nell’accaparramento delle materie prime e delle risorse minerarie altrui?

L’ipocrisia non è il modo migliore per conquistare la fiducia dei popoli e la retorica occidentale non ha convinto un mondo tribale e diffidente che ha preferito fare buon viso a cattivo gioco aspettando che gli invasori tornassero spontaneamente alle loro case dopo essersi convinti di avere esportato la civiltà e la democrazia.

I talebani, cresciuti a pane e Corano, forti di una volontà luciferina spinta fino al fanatismo, come già un tempo i vietnamiti, hanno potuto tranquillamente continuare a sopravvivere nelle aree più impervie ed inaccessibili organizzando la guerriglia e continuando una caparbia resistenza con attentati sanguinosi e indiscriminati.

Quali erano le motivazioni forti dei boys americani e dei militari occidentali mandati a combattere la galassia tribale talebana? E quali quelle che avrebbero potuto sostenere il morale dell’esercito afgano?

Non è pensabile che in un mondo come quello occidentale, in cui costantemente si veicolano messaggi volti a femminilizzare gli uomini e a mascolinizzare le donne, a rivendicare pretesi diritti Lgbt e gender fluid, possa trovare spazio un’etica autenticamente militare.

Per uscire da un pericoloso cortocircuito, è venuto il momento di riscoprire i vecchi princìpi dell’autodeterminazione dei popoli e della non ingerenza nelle loro vicende; il momento di chiedersi se valga la pena di continuare a destabilizzare il mondo intero alimentando conflitti locali senza fine. La cronicizzazione delle guerre può piacere ai venditori di armi ma non ai popoli che ne subiscono le conseguenze, da qualunque parte essi stiano.

Alla fine degli anni settanta del secolo scorso venne pubblicato un volumetto a firma Giorgio Locchi e Alain de Benoist, già nel titolo si diceva tutto: Il male americano. In esso, ancora oggi, per la sua impressionante attualità. si possono trovare spunti di riflessione per chi non si vuole rassegnare all’estinzione dell’Europa e della sua civiltà più autentica, prima scimmiottata dall’America coloniale e poi restituitaci, sotto forma di caricatura, dall’egemonia USA.

La storia è maestra di vita, ma i suoi alunni sono pochi.

Nuccio Carrara
Già deputato e sottosegretario
alle riforme istituzionali

Setaro

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