Da un lato il via libera del Parlamento al Recovery Plan, e dall’altro il ritorno della zona gialla (si fa per dire) con le prime timide riaperture; e in mezzo (esattamente mercoledì al Senato) la mozione di sfiducia al ministro Roberto Speranza. La settimana che si sta per aprire non sarà una passeggiata per il governo e la maggioranza che, tra l’altro, hanno dovuto fare i conti con un fine settimana tutt’altro che semplice. Anzi in un certo qual modo quel Consiglio dei ministri che dal venerdì alle 10 è slittato alle 22 di sabato ha riportato alla mente i tempi, non certo esaltanti, del governo Conte quando le convocazioni dei CdM avevano un significato puramente indicativo.
Accade così che l’ultimo impegno politico della scorsa settimana coincida con quello della nuova, appunto il Recovery Plan. Il via libera nel Consiglio dei ministri è arrivato dopo una lunga e articolata interlocuzione sia all’interno della maggioranza e sia con Bruxelles. Sul primo fronte lo scontro è stato duro. Non si è trattato soltanto sui temi della proroga del superbonus 110 per cento, su cui tutti i partiti della maggioranza spingevano, ma anche su quello della governance del Recovery. Un punto di non poco conto, se si considera che proprio questa è stata la goccia che ha fatto cadere il governo Conte.
L’idea di Draghi è quella di una cabina di regia affidata al Mef e Palazzo Chigi, insomma tutta governativa in mano a Mr Bce e quindi molto tecnica e poco politica. Questo ha sollevato le resistenze nei partiti timorosi di essere fatti fuori dalla stanza dei bottoni dove saranno prese le decisioni. Alla fine, probabilmente, si troverà una via di mezzo, puntando a contemperare le esigenze di entrambe le parti. Tutto, comunque, rimandato al decreto che sarà varato dopo il via libera del Parlamento al Recovery.
Altrettanto complesso il negoziato con Bruxelles che ha chiesto progressivamente sempre più garanzie al governo sui tempi e gli impegni per le riforme da attuare. Una sorta di escalation di richieste da parte dell’Ue che alla fine ha imposto a Draghi di scendere direttamente in campo telefonando alla presidente Ue, Ursula von der Lyen per chiudere la faccenda. E questo anche perché sono ben 40 fitte pagine quelle che l’Italia consegnerà alla Commissione in cui sono chiaramente indicati tempi e modalità per avviare le riforme.
Chiuse tutte le partite finalmente il provvedimento ha potuto prendere la via del Parlamento, giusto qualche ora prima di essere discusso. Oggi sarà alla Camera, previsto per domani in mattinata il via libera. Mentre per Palazzo Madama tutto dovrebbero svolgersi domani.
Tempi ristretti, quindi, tanto che Giorgia Meloni, unica leader dell’opposizione, ha tuonato: «In Cdm il premier Draghi e il Ministro Franco hanno fatto sapere che il Recovery Plan italiano ha ricevuto il ‘disco verde’ della Commissione europea. Peccato che il Parlamento italiano avrebbe dovuto discutere e approvare il PNRR prima che questo fosse sottoposto dal Governo alla UE. Invece nessuno in Italia ha ancora visto il testo, nonostante il Parlamento lo debba votare martedì».
«Democrazia italiana, Costituzione e sovranità popolare buttate nella discarica. Tutto normale? Il presidente del Senato Casellati e il presidente della Camera Fico non hanno proprio nulla da dire? Al Capo dello Stato sta bene così? Fratelli d’Italia non sarà complice di questo scempio» afferma la Meloni.
Parole che presuppongono che il passaggio in Parlamento, anche se scontato, non sarà una passeggiata con Fratelli d’Italia che punta a ad attaccare a testa bassa.
L’altro grande tema è quello delle riaperture. Anche qui però la situazione è tutt’altro che tranquilla. Da oggi l’Italia torna per gran parte in zona gialla e quindi si inizia a respirare qualche ritorno alla normalità. Poca, comunque, visto che le proteste si stanno susseguendo a conferma che il dl che avrebbe dovuto portare serenità ha invece acceso gli animi. Sul piede di guerra i tanti ristoratori che non avendo strutture all’aperto non potranno fare servizio se non d’asporto e delivery. Questo riguarda anche i bar, che con il varo della circolare del Viminale hanno scoperto che pur essendo in zona gialla non potranno come in passato servire al bancone. Un’amara sorpresa.
Ma è soprattutto il coprifuoco alle 22 ad accendere lo scontro. A difendere la misura c’è ovviamente il ministro della Salute, Roberto Speranza, che considera il coprifuoco alle 22 uno strumento indispensabile per ridurre la mobilità, e quindi la diffusione del virus. «È una scelta che abbiamo fatto con spirito di prudenza e cautela ma nessuno si diverte a fare le restrizioni – ricorda -. Poi monitoriamo, l’esito non è già scritto. Vedremo, se ci saranno le condizioni per fare altri passi avanti sul coprifuoco come su tante altre restrizioni io sarò il più felice di tutti».
Nella notte di sabato Matteo Salvini, invece, ha lanciato una petizione online per chiedere l’abolizione del coprifuoco. Iniziativa quanto meno bizzarra visto che la Lega, di cui Salvini ne è il leader, è in maggioranza e quindi non dovrebbe aver bisogno di simili strumenti che si attagliano più all’opposizione.
Circostanza che, infatti, non è sfuggita agli attuali alleati di governo che con Enrico Letta hanno attaccato Salvini: «Mi stupisce Salvini che partecipa a una raccolta firme contro il coprifuoco decisa dal governo dove siede». E poi: «Draghi ha tenuto il punto nonostante l’astensione dei ministri. Io suggerisco sommessamente di considerare che può succedere una volta, ma non deve succedere più. Se un partito di maggioranza non vuole stare al governo, non ci deve stare. Cade il governo? Spero di no».
Critiche alle quali Salvini ha prontamente risposto: «Il segretario del Pd Letta non si fida degli Italiani e li vuole tenere ancora chiusi in casa. Io mi fido degli Italiani e vorrei che tornassero a vivere, lavorare, sorridere». E meno male che dovrebbero stare nella stessa maggioranza.
Sullo sfondo, come detto, c’è la mozione di sfiducia a Roberto Speranza firmata da Fratelli d’Italia, anche se in Senato saranno votate anche le altre due presentate da Gianluigi Paragone e gli ex Cinquestelle di Alternativa c’è. Giorgia Meloni ha ribadito che «il 28 aprile Fratelli d’Italia voterà a favore della mozione di sfiducia per mandare a casa il ministro Speranza», lanciando un appello «al buonsenso di tutte le forze politiche per fare altrettanto. Nel frattempo, la nostra petizione online per sostenere la mozione va avanti con successo».
Difficile che ci siano i numeri per mandare a casa Speranza. Senza dubbio, però, sarà interessante vedere con quali numeri la mozione di sfiducia sarà battuta e in particolare se alla fine qualche breccia nello schieramento leghista l’avrà prodotta. La Lega, per il momento, ribadisce che non metterà in difficoltà il governo ma per chi finora ha giudicato il ministro Speranza come l’esponente di punta della linea del terrore sarà difficile votargli la fiducia. E l’astensione non sarebbe la soluzione, anzi…
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