Caserta, il cortile di Don Bosco non può morire. Non si può tappare la bocca ai giovani

di Nicolò Antonio Cuscunà

La giovinezza l’ho trascorsa nel centro città, erano gli anni della spensieratezza, dei sogni, ed ad averne credendoci, li potevi realizzare. Il tempo libero, i ragazzi degli anni ‘50, lo trascorrevano per strada, senza troppi problemi per i genitori, la strada era la palestra. Si frequentava piazzetta Fratelli Correra (’u larg’ i Bidett’) di via G.B. Vico, era luogo d’obbligo per giocarvi a pallone.

L’aumento delle auto in sosta o parcheggiate, ci costrinse a migrare in piazza Matteotti (mercato), oppure in mezzo alla “campagnella” (tra via Cecano e via Ferrara). Piazza Vanvitelli era off-limits, i Vigili Urbani sequestravano i palloni per garantire tranquillità alle mamme a passeggio con i bimbi piccoli. Le sere d’estate, lo stadio diveniva piazza Carlo III ai Campetti.

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Il gioco, da sempre e in tutti i luoghi, epoche e civiltà, rappresenta la trasmissione di esperienze. Il gioco insegna, col gioco si apprende, si trasmettono gioie e entusiasmi, si correggono errori, si indica la partecipazione nella legalità, aiuta a cresce nel fisico e nella mente. Il cortile, inventato da Don Bosco per i giovani, ha sempre indicato la strada delle tolleranze, corretto dagli spunti violenti ed aperto all’ascolto, al confronto e alla convivenza civile. Il gioco utile ad aprire il cuore dei giovani alla gioia. Questo l’insegnamento di Don Bosco.

Conoscevo il “cortile” dei Salesiani dalla mia cameretta, mi ci affacciavo sopra dal terzo piano di via Vico. Svettavo sull’allegro vociare dell’oratorio, giorni, mesi ed anni d’allegra compagnia. Non l’ho mai frequentato, preferivo la strada. La domenica, anche se volevo dormire per recuperare il sonno perso la notte, non potevo. La sveglia la dava l’altoparlante del Don Bosco, avvisi e musica ricordavano l’orario delle messe. Vocio, tifo da stadio delle attività sportive, il cortile del Don Bosco, l’imposta del balcone aperta o chiusa, non ha mai infastidito né privato di sonno o distratto dagli studi.

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L’avvento dello sport obbligato per moda, gli eccessi di quello tifato, la fine delle palestre di strada, hanno creato l’insofferenza al “cortile di Don Bosco”. Non crediamo a problemi di “legalità caprina”, atti formali da rispettare, peli nell’uovo da cercare, l’attività del Cortile di Don Bosco non può morire.

È questione di civiltà, è questione d’amore, è questione d’opportunità. Caserta non può dimostrare di meritare l’ultimo posto in graduatoria, per invivibilità, tra le città capoluogo italiane.

Mettere a tacere il vociare del cortile di Don Bosco, è al pari del distruggere il valore d’insegnamento. Annullarne il modello educativo, è come disconoscere le eccellenze culturali ed intellettive al suo interno gemmate e presenti in tutto il mondo. Caserta non può fare a meno del Cortile di Don Bosco, non può tappare la bocca ad una parte dei suoi giovani.

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